Qualche anno fa un gruppo composito di 11 registi di origini diverse era stato chiamato a dirigere un film collettivo sull’11 settembre. Tra loro Mira Nair che decise di raccontare la storia vera di Salmani, un giovane statunitense di origine pakistana scomparso proprio quella mattina. Col passare dei giorni viene indicato come terrorista e la sua famiglia guardata con diffidenza. Con le torri crolla un intero mondo. Solo sei mesi più tardi si viene a scoprire che Salmani era morto sotto le torri nel tentativo di prestare soccorso. Mira Nair torna quindi su quei tragici momenti questa volta però armata del romanzo di Mohsin Hamid, Il fondamentalista riluttante, stesso titolo del film. Questa volta la vicenda è quella di Changez Kahn, un ragazzo pakistano, studente modello a Princeton, raffinato analista finanziario, con un futuro radioso fatto di milioni di dollari realizzati spesso sulle spalle di poveracci sparsi per il mondo condannati a perdere il lavoro e trovare la miseria.

Lui non si preoccupa più di tanto, vive nella grande Mela e ha una storia con la giovin rampolla della famiglia titolare del fondo di investimento esclusivo Underwood Samson. Insomma tutto gli sorride. Almeno sino a quando vengono abbattute le due torri, muoiono migliaia di persone e si scatena la caccia al diverso, musulmani in primis. Ritroviamo infatti Changez a Lahore, dopo che è rientrato in patria, docente universitario, molto cambiato e molto amato dagli studenti. Un giornalista, finto, in realtà è un agente Cia, lo vuole intervistare così si scoprono diverse cose.

Abbiamo visto tanti, troppi, film sulla guerra in Afghanistan e in Iraq come conseguenza dell’11 settembre che rischiamo di perdere di vista i dati reali: solo dei guerrafondai potevano lanciarsi in quell’avventura bugiarda e spudorata. Da qui l’esigenza di affrontare la questione delle conseguenze con un taglio diverso. Mira Nair non è musulmana, ma il denaro della produzione viene dal Doha film Institute, la distribuzione Eagle fa riferimento a Tarak Ben Ammar e Moshin Hamid voleva proprio aprire una diversa prospettiva per approcciare la questione del rapporto tra Stati Uniti e mondo occidentale con il mondo islamico.

Questi sono tutti motivi che spingono a considerare davvero interessante la vicenda del film, al punto che è stato chiamato a inaugurare la scorsa mostra del cinema veneziana. Ma sono tutti motivi che esulano dall’ambito cinematografico, siamo di fronte a una di quelle storie più intriganti per le intenzioni e i temi trattati piuttosto che per la loro messa in scena. Certo vedere la questione da Lahore è diverso che non guardarla da New York, la realtà pakistana suona eccentrica a tratti incomprensibile quasi quanto deve suonare stridente la concezione del mondo di Wall Street vista dal punto di vista del povero Cristo (ooops) musulmano. Purtroppo però ci sono schematismi e semplificazioni che non rendono un buon servizio alla comprensione del problema nella sua complessità.

Certo è facile commuoversi per i morti dell’attentato così come è facile indignarsi per i soprusi di stato che sono seguiti con il pretesto della lotta al terrorismo.
Forse siamo tutti ancora troppo scossi e coinvolti, le guerre d’invasione scatenate allora continuano tutt’ora, ma c’è qualcosa che rende scivoloso il Fondamentalista riluttante. Questo nonostante il tentativo di reclutare attori di livello. Perché Changez è Riz Ahmed, la sua pupa made in Usa è Kate Hudson, il grande vecchio è Kiefer Sutherland e il giornalista-agente è Liev Schreiber. Nonostante questo il film ha sostanzialmente fallito uno dei suoi obiettivi primari: essere visto sul mercato statunitense. Uscito in una manciata di schermi e penalizzato quindi al box office, non è riuscito a raggranellare più di mezzo milione di dollari di incasso. Peccato perché pur con i suoi limiti il film merita comunque di essere visto.