Niente hanno potuto i droni e a poco sono serviti i duri addestramenti riservati alle forze speciali statunitensi che operano sui diversi scenari africani, per salvare la vita ai tre «berretti verdi» rimasti uccisi mercoledì scorso in Niger.

I tre militari, inquadrati nel Comando Usa per l’Africa (Us Africom), pattugliavano la regione di Tillabery, al confine con il Mali, quando sono finiti in un’imboscata. Tesa loro, secondo quanto dichiara un anonimo ufficiale Usa alla Cnn, da una cinquantina di affiliati all’Isis. Altri due militari statunitensi rimasti feriti nell’agguato sono già stati trasferiti in Germania. Il comunicato emesso ieri da Africom alludeva anche a una quarta vittima, un altro militare di nazionalità «alleata». Le autorità locali hanno poi fatto sapere che nell’attacco hanno perso la vita cinque soldati nigerini.

La presenza militare Usa in Niger, voluta da Obama e rafforzata da Trump, è ufficialmente limitata ad azioni di supporto logistico e addestramento, ma le circostanze in cui è avvenuto lo scontro a fuoco di mercoledì dimostrerebbero che i «berretti verdi» sul terreno vanno ben oltre queste mansioni. Gli elicotteri Super Puma intervenuti sul luogo non hanno potuto far altro che evacuare morti e feriti.

Ma nelle stesse ore i droni Usa colpivano nel sud della Libia, uccidendo 12 miliziani (fonte Africom). Nel futuro prossimo Washington alloggerà i suoi droni presso Agadez, nella nuova base che si annuncia come «il più grande progetto-laboratorio nella storia delle forze aeree Usa».

Nel paese è poi forte la presenza francese ed enormi sono gli interessi in gioco per Parigi, uranio in primis. I militari dell’operazione Barkhane stanziati in Niger, che ieri hanno lanciato un’operazione nella stessa area, avranno presto ai loro ordini i 5 mila uomini del G5 Sahel, la forza composta dai paesi dell’area sotto la guida francese allo scopo di intensificare la guerra ai jihadisti nel paese in cui si saldano i due principali fronti caldi dell’Africa occidentale, a nord contro al Qaeda nel Maghreb islamico e il resto della litigiosa galassia jihadista pressata nel nord del Mali, a sud contro la guerriglia di Boko Haram che coinvolge, anche qui, almeno sei paesi.

In questo scenario tormentato si inserisce la missione militare italiana – che il governo italiano caldeggia e per la quale si stanno dando un gran da fare i ministri Minniti e Pinotti – che vorrebbe fermare i flussi migratori subsahariani il più a sud possibile