A mezzanotte del 21 agosto 1968 cinquecentomila soldati, con più di 7.000 carri armati e veicoli corazzati scortati da 800 aerei, entrarono in Cecoslovacchia da 18 varchi di frontiera. Tre ore dopo erano già a Praga. L’ «Operazione Danubio» del Patto di Varsavia a sorpresa invadeva la Cecoslovacchia.

L’allora segretario del partito comunista ceco Alexander Dubcek il giorno stesso veniva arrestato e portato in Unione Sovietica costretto a firmare il Compromesso di Mosca. Scelta obbligata ma riesce a salvare la popolazione da probabili esecuzioni e deportazioni di massa in Siberia. I morti ufficiali di quel giorno e delle settimane successive sono 108 tra i civili e 12 tra i soldati russi. Su «Interniet» trovi che pure Stalin avrebbe detto che un solo morto è una tragedia e Putin lo avrà sicuramente imitato in Ucraina. Sono però diverse le strategie e le forze in campo. L’analogia che sembra esserci sono le massicce esercitazioni militari nei giorni precedenti le invasioni, ma la storia di oggi è molto più tragica e il carro armato di Aljioša sembra essersi proprio ribaltato.

Questa volta la «Missione speciale» russa invade l’Ucraina il 24 febbraio del 2022 utilizzando una forza militare di circa 200mila uomini, meno della metà del Patto di Varsavia nel 68. Gli effettivi ucraini a inizio della guerra erano 196mila, già equipaggiati di armi moderne. L’avanzata russa con tutta la sua artiglieria pesante, aerei ed elicotteri, avrebbe dovuto scoraggiare qualsiasi resistenza ma, fuori dalle previsioni l’opposizione di un milione di resistenti arruolati e l’invio di nuove armi da USA e EU ha fermato l’avanzata su Kiev. Oggi siamo arrivati al quinto mese di guerra, in una situazione di cui non si prevede la fine. Sicuramente il rispetto degli accordi del 2015 avrebbe fatto molto meglio, purtroppo il bilancio lo fanno le decine di migliaia di morti, con le economie globali a pezzi e il rilancio del pericolo atomico. Si può partire da lontano ma la storia è sempre quella e si ripete con delle varianti. L’unico punto fermo sembra ancora essere quello di Brecht sulla guerra che verrà, che non è la prima e che tra vincitori e vinti è sempre la povera gente che fa la fame. Guadagnano subito i fabbricanti di bombe, che stanno ancora a Los Alamos, zona di industria bellica dove per i prossimi anni è previsto un potenziamento da molti miliardi di dollari. Per buona pace di Lockheed Martin, Raytheon e compagnia bella, la Russia si attesta in seconda posizione nella classifica mondiale dei produttori di armi.

Gli effetti si vedono subito e sono i numeri che parlano: tra gli Ucraini più di 5.000 civili e 10 mila militari morti; tra i soldati dell’operazione speciale russa a metà agosto si arriva probabilmente a 50mila. Si tratta di vite umane ma, a un certo punto non è ben chiaro come sono percepiti dei numeri così grandi nella coscienza delle persone e quando diventano solo cruda statistica. I nuovi media e le fonti giornalistiche open-source ci restituiscono una cronaca di guerra on-line. I network televisivi mainstream ci informano sulla situazione con testimonianze in formato blog e tik tok. I talkshow ne dibattono e ribattono i comunicati ufficiali di propaganda sotto l’ombrello NATO e il condizionale delle informazioni di una Russia isolata e anestetizzata.

E sono almeno 2.000 i carri armati russi saltati in aria (di solito con 3 o 5 persone dentro), quelli ucraini almeno 500, colpiti da missili e droni telecomandati anti carro, forniti dai paesi in guerra contro la guerra. Sul campo di battaglia il «fattore umano» è ancora più difficile da raccontare e probabilmente sarà possibile trovarlo di più al cinema o in letteratura. In attesa di vedere dei nuovi film e documentari che racconteranno la guerra in Ucraina è più facile ricordare gli sguardi di Tomas e Tereza nelle Insopportabili leggerezze dell’essere di Milan Kundera quando vedono rotolare i cingoli dei tank sulle strade di Praga o anche nei racconti di Bohumil Hrabal, famoso narratore di «Paure totali», quando a piazza San Venceslao il primo giorno dell’invasione vedeva i cannoni dei tank puntati proprio alle finestre dell’Unione degli Scrittori Cecoslovacchi.

Quasi ci sta pure il film di Otto Preminger, dal romanzo di Graham Greene con un titolo proprio sul Fattore umano, per capire le dinamiche di strategie e spionaggi. Poi c’è il punto di vista dei carri armati. Forse chi lo ha raccontato di più è il film americano The Beast (of War) del 1988, ma si trattava di Afghanistan.

C’è anche un altro film del 2009 Operazione Danubio del regista polacco Jacek Glomb, con la supervisione artistica di Jirí Menzel che racconta di Beruška, del carro armato Ladybird e del suo equipaggio. In chiave di commedia umoristica il film si ispira ad una storia realmente accaduta di un carro armato polacco che si era perso nelle campagne a pochi chilometri oltre la frontiera la mattina del 21 agosto 68. Nella realtà sembra che il tank non sia stato più trovato, nel film per un guasto ai cingoli finisce dentro una osteria di campagna, però dopo le prime incomprensioni i cechi proteggono e aiutano i polacchi che poi continuano la fuga, anche con l’amore di Libuška che si aggiunge all’equipaggio, per fuggire anche lei e forse arrivare a Vienna.

Chissà, oggi la storia del film potrebbe continuare con la statua del tappeto volante vicino ad un carro armato americano nel 2003, che ancora c’è lì davanti all’hotel Palestine di Baghdad. Per sorvolare centinaia di altri carri armati, recuperati dai vecchi arsenali sovietici, filmati questa estate sui treni in transito al confine orientale dell’Ucraina. Per evidenti errori di strategia militare e inaspettata resistenza ad un certo punto la Russia a corto di mezzi corazzati ha fatto ricorso ai vecchi modelli T-62M, gli stessi che erano stati usati per l’invasione della Cecoslovacchia nel 68, riciclati con rinnovate probabilità di facile bersaglio Javelin e droni a perdere.