Shanghai 1935. Al Jincheng Theatre va in scena il testo di Ibsen «Casa di Bambola» con la regia di Zhang Ming. In città non si parla d’altro. Nella storia del teatro cinese quello fu poi ricordato come l’«anno di Nora», a testimoniare l’acceso dibattito sul femminismo suscitato da quell’opera.

Nel ruolo della protagonista è stata scelta Lan Ping («Mela Azzurra»), pseudonimo di Li Shumeng, bellissima ventunenne originaria di una piccola città dello Shandong. In fuga dalla Cina feudale, è approdata nella grande metropoli delle concessioni straniere: la «Parigi d’Oriente», meta di avventurieri, miliardari, intellettuali, artisti.

Eppure, al fascino di un luogo alla moda, con una forte industria cinematografica, si mescolano la miseria e lo squallore di una città decadente. La Shanghai degli anni Trenta non è solo glamour: il Paese è scosso dalla guerra civile, il governo nazionalista è corrotto. Proprio da qui, tre anni prima, i comunisti sono fuggiti, braccati dalla polizia di Chiang Kai-shek, per rifugiarsi nelle basi rosse rivoluzionarie nello Jiangxi, da dove è partita la Lunga Marcia.

E così, mentre Shanghai celebra «l’anno di Nora», altrove nella provincia del Guizhou, la conferenza di Zunyi elegge Mao presidente del Partito Comunista Cinese (PCC). «Voglio scoprire chi ha ragione, io o la società», Nora dice a Helmer. L’applauso del pubblico rende Lan Ping tronfia di un successo a lungo atteso. Ha sempre sognato di essere Nora. Un giorno diventerà Madame Mao, la prima attrice della grande tragedia rivoluzionaria. Il capro espiatorio delle colpe del suo quarto marito.  Yan’an, luglio 1937. Lan Ping arriva in questo paesino dello Sha’anxi scavato nella roccia, tra le colline della Cina centro-settentrionale, punto di arrivo della Lunga Marcia e scelto dal PCC come roccaforte.

A Shanghai è iniziata l’occupazione giapponese, e per gli artisti è la vigilia di un’epoca buia: a molti non resta che darsi alla fuga. La guerra civile conoscerà una breve, seppur fragile, tregua in cui PCC e Guomindang si uniranno per respingere l’invasore e liberare infine il Paese, nel 1945. Lan Ping in quegli anni si era avvicinata al marxismo e decide di entrare nella scuola del Partito.

Vuole cominciare una vita nuova. Mentre dal finestrino del treno vede scorrere la campagna dove qualche anno prima 3mila persone sono morte di fame, deve aver rivolto lo sguardo al suo passato. Da piccola nessuno a casa la chiamava per nome, l’identità delle bambine cinesi veniva definita in virtù delle relazioni familiari.

Sua madre, una concubina, a un certo punto è scomparsa. Il nonno le ha dato il nome di Yunhe («Gru delle Nubi») e l’ha introdotta alla letteratura e all’opera classica. «Sei un pavone in un pollaio» le diceva, e quella era la prima volta che imparava a sognare. Presto sono cresciuti in lei sentimenti di ambizione e sete di potere. A sedici anni il primo divorzio dal primo marito, sposato per denaro, e il trasferimento a Qingdao, dove ha studiato alla scuola di teatro e incontrato il primo grande amore, Yu Qiwei, leader comunista, il primo cenno di un destino che s’intreccia con la storia del Partito.

Se Yu incarnava l’anima della Cina, lei era il suo discepolo. Uno schema che si ripeterà all’epoca della rivoluzione culturale, quando vorrà essere definita come la più fedele interprete e portavoce del pensiero di Mao. Dopo un divorzio drammatico in anni di tensioni politiche, la fuga a Shanghai. Qui è diventata un’attrice affermata, ma non una diva: è attratta dalla cinematografia di denuncia sociale, e ha sposato il critico teatrale Tang Nah, dal quale ha poco dopo divorziato per incompatibilità caratteriale. Lan Ping è un’attrice patriota, impegnata nella diffusione del pensiero marxista.

Nel 1937, Mao Zedong, 44 anni, vive in una casa scavata nella pietra, la tipica yaodong, venerato come un Buddha dai fedeli soldati dell’Armata Rossa, i reduci della Lunga Marcia: dei centomila che in un anno hanno percorso oltre diecimila chilometri, ne sono arrivati quattromila.

Disteso sul kang (giaciglio di mattoni o di argilla), Mao, il genio della guerriglia, passa il tempo a scrivere trattati di guerra e a comporre poesie. Nella sua grotta, il Grande Timoniere elabora il pensiero che guiderà la Cina fino alla sua morte, nel 1976. Un giorno Kang Sheng, stretto collaboratore di Mao, accompagna l’attrice venuta da Shanghai nella grotta del leader.

I due iniziano a frequentarsi, e poco dopo decidono di sposarsi. Da ora in poi si chiamerà Jiang Qing, ma la strada è tutta in salita. Convive con il fantasma di He Zizhen, la terza moglie di Mao, l’eroina della Lunga Marcia, spedita a Mosca a curarsi.

Jiang Qing ambisce a un ruolo: vuole essere moglie, non amante, e punta a una posizione dirigenziale. Ma l’attrice non è amata dai dirigenti del Partito, che vedono in lei un’usurpatrice dal passato fosco, infilatasi nel letto di Mao in assenza della moglie lontana. Anche il popolo di Yan’an non la giudica con benevolenza, così distante dall’integrità morale delle precedenti consorti: prima di He, Yang Kaihui, la seconda sposa, catturata e giustiziata dal Guomindang.

La drammaturgia degli anni ’80 esalterà lo spirito di sacrificio delle prime mogli di Mao, un’operazione finalizzata alla canonizzazione di Jiang Qing come icona suprema di dissolutezza. Il partito acconsente infine al matrimonio ma impone come condizione l’esclusione di Madame Mao dalle riunioni del Politburo e dalla vita pubblica. Fino all’inizio degli anni ’60, sarà tenuta nell’ombra.

Da Yan’an i comunisti partono per la conquista del Paese. La lunga marcia verso il potere si conclude nel 1949 con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese e la fuga dei nazionalisti a Taiwan.

Ormai onnipotente, il presidente Mao (Mao Zhuxi) si trasferisce a Pechino. Continua a dormire sul kang e a usare la sedia di vimini, ma è incline alla lussuria. Ogni giorno Kang Sheng gli porta una giovane fanciulla per soddisfarlo. Jiang Qing cade in depressione. Sono finiti i tempi in cui la rivoluzione era una cosa bella, e loro due erano una coppia innamorata.
Voleva essere l’imperatrice, è diventata una concubina, come la madre dimenticata. Quel ruolo arriva solo dopo il disastroso Grande Balzo in Avanti, quando il consenso di Mao si indebolisce.

Mao lancia il Movimento di educazione socialista, affidando il compito di riformare l’opera di Pechino a Jiang Qing, la quale produce le otto opere modello che domineranno la scena teatrale di quegli anni, e rimodella in seguito anche il cinema.

Si getta nella vita politica nel 1966, quando Mao lancia la Rivoluzione Culturale per sconfiggere i veterani che si oppongono alla sua politica, e dai quali si sente messo da parte. Per farlo si serve della moglie.

Tra le prime vittime, Liu Shaoqi, accusato di «seguire la via capitalistica»: violentemente epurato, muore in prigione nel 1969. Jiang si allea con Lin Biao e assume il comando del Gruppo della Rivoluzione, insieme a Chen Boda. Imbruttita, in divisa militare, compare davanti alle masse, organizza le Guardie Rosse.

Dietro di lei, Mao orchestra. Non ha scrupoli nell’usare il suo potere per vendicarsi di chi in passato l’ha disprezzata, come alcuni esponenti culturali della Shanghai di un tempo. Una crudeltà che non lascia scampo neanche alla moglie di Liu Shaoqi, Wang Guangmei, di cui è invidiosa perché per molti anni è stata l’unica first lady ad apparire in pubblico.

Nel 1966 la espone all’oltraggio delle Guardie Rosse facendola girare con una collana di palline di ping pong appesa al collo, in disprezzo della sua collana di perle. Alla fine dei «dieci anni di calamità», Jiang Qing guadagna ancora più potere ponendosi al comando di quella che Mao ha soprannominato la «Banda dei quattro», gli esponenti della fazione radicale (insieme a lei, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan, Wang Hongwen). Cioè gli unici impostori che dopo la morte di Mao nel 1976, il nuovo potere targato Deng Xiaoping, che offusca l’erede designato Hu Yaobang, mette sotto processo.

La condanna del 1981 alla pena di morte con sospensione verrà poi tramutata in ergastolo. Madame Mao non ha mai temuto di pagare per gli eccessi rivoluzionari, si è sentita protetta dal marito fino alla fine. Durante il processo, sfida i giudici «revisionisti». Mao le aveva predetto che dopo la sua morte la destra l’avrebbe annientata.

Durante il processo, alla sua biografa Roxane Witke sussurra che la nuova linea politica ha bisogno di un capro espiatorio. La compagna Jiang diventa l’acerrima nemica del popolo. Nel maggio del 1991, scarcerata per motivi di salute,  il «demonio dalle bianche ossa» si uccide appendendosi a una corda. Resta ancora oggi una delle figure più controverse della storia cinese.

Fu per alcuni stupida, per altri vittima, per pochi coraggiosa.