Sessantamila anni fa un crollo di pietre dovuto a un sommovimento della terra sigillò definitivamente la grotta Guattari (san Felice Circeo, in provincia di Latina) trasformandola in uno scrigno di storie perdute. Poi, nel febbraio 1939, alcuni lavori per l’estrazione della pietra calcarea alla base della collina del Morrone voluti dal proprietario del terreno (da cui il nome del sito) riaprirono quella cavità e portarono alla luce un cranio quasi completo (appartenente all’Homo neanderderthalensis) e anche altre due mandibole, sempre umane.

Il luogo venne così setacciato dal paleontologo Alberto Carlo Blanc e si scoprì un tesoro preistorico: conservate benissimo c’erano ossa umane e di animali come cervi e iene. Blanc, rilevando un antichissimo, grande foro occipitale sul cranio immaginò un rito antropofagico (una pratica cannibalica sul cervello) ma negli anni venne poi smentito nella sua pur suggestiva ipotesi, dato che quel buco fu attribuito ai denti affilatissimi di una affamata iena maculata che, probabilmente, aveva trascinato il corpo del malcapitato nella sua tana per cibarsene, prediligendo la parte molle (e nutriente) del cervello. E, a distanza di molti anni, la grotta Guattari – considerata dagli studiosi una miniera di informazioni per il paleolitico medio – non smette di stupire: abitata per millenni da esseri umani che lì trovavano rifugio e calore, abbandonata a causa di smottamenti vari, fu riadibita a “nursery” dalle iene circa ventimila anni dopo la presenza dei Neanderthal, fino all’ultimo crollo che la chiuse ermeticamente, convertendola in una capsula del tempo a tenuta stagna.

La grotta è stata generosa anche con i recenti scavi, iniziati nel 2020 (una campagna condotta dalla soprintendenza archeologica delle province di Latina e Frosinone in collaborazione con l’Università di Tor Vergata): ha restituito, infatti, i resti di nove uomini di Neanderthal (una sola è donna) e una ricca varietà di specie vegetali fossili, oltre che di animali. Secondo Francesco Di Mario, il funzionario archeologo della soprintendenza che dirige lo scavo, gli scheletri ricomposti appartengono “tutti a individui adulti, fatta eccezione forse solo per uno che potrebbe essere di un giovane”.

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Non era una comunità lì riunita, molti di loro non si conoscevano proprio perché si tratterebbe di individui vissuti in epoche diverse: i più “moderni” tra i 50 e i 68mila anni fa, i più antichi tra i 100 e i 90mila anni fa. Secondo il direttore del servizio di antropologia del Sabab Lazio, Mario Rubini, con questi nuovi rinvenimenti -dovuti alle nuove tecnologie che hanno permesso di indagare in recessi e antri prima mai raggiunti – la Grotta Guattari diventa assimilabile per importanza al sito di El Sidron in Spagna o a quello di Krapina nell’ex Jugoslavia. E sarà una fonte preziosissima per gli studi sul popolamento in Italia di un periodo rimasto spesso misterioso. D’altronde, siamo nei pressi della casa della maga Circe, che assicura sorprese e incantamenti fino ai nostri giorni.