Archiviate le prove di restart del negoziato Giamaica, inizia l’ultimo test per riaccendere la trattativa che, stando alle dichiarazioni ufficiali, è «impensabile». Spicca tra gli appuntamenti di domani nell’agenda istituzionale del presidente della Repubblica Steinmeier, quanto sul calendario politico del leader Martin Schulz, sempre più assediato fuori e dentro l’Spd.

In teoria è solo l’incontro-quadro nella cornice delle consultazioni per il nuovo governo. Nella realtà si tratta della prima “gamba” per rimettere in piedi il tavolo della Grande coalizione: la più probabile alternativa al ritorno alle urne, che mezza Spd (con buona pace del segretario) non vuole.

Tutto mentre la Bundesrepublik continua a funzionare come e meglio di prima. Dall’economia in crescita costante (Pil a +2,8%) alla disoccupazione fisiologica (3,7%) fino alla finanza che resta alla finestra senza preoccupazioni (+0,86% l’indice di ieri della Borsa di Francoforte). Un “caos governato” cogestito in nome dell’interesse nazionale, che fa apparire quasi superflua la spesa di 92 milioni di euro per nuove elezioni.

L’HA CERTIFICATO ieri la prima seduta operativa del Bundestag, aperta con l’appello alla «flessibilità verso il nuovo governo e alla responsabilità per il Paese» del presidente Wolfgang Schäuble, e chiusa dal paradosso di 709 deputati chiamati a votare le iniziative del governo vigente, cioè della Grande coalizione. Ciò nonostante, la singolarità non scompone l’ex ministro: «Ci attende un compito grande ma risolvibile. Siamo di fronte a un test, non a una crisi di stato».

Combacia in pieno con la linea-Steinmeier e suona come ennesimo invito alla retromarcia per Schulz, indisposto alla Grosse Koalition e pronto a elezioni-bis.

Lunedì, alla riunione nella Fondazione Spd, il segretario ha raccolto il dissenso di non pochi dirigenti contrari al voto anticipato. Dal premier della Bassa Sassonia Stephan Weil al sindaco di Amburgo Olaf Scholz in molti sperano che la “missione impossibile” di Angela Merkel per salvare il suo quarto mandato si trasformi nell’operazione probabile del presidente Steinmeier per far nascere il suo primo governo.

UNA SORTA DI “PIANO B” imbastito dopo l’abbandono del negoziato Giamaica del leader Fdp Christian Lindner. Oppure – più banalmente – la soluzione inseguita da Angela Merkel fin dall’inizio delle trattative. In tutti i casi rimane l’exit strategy principale dal gelo sopra Berlino.

Soprattutto, è la strada battuta all’indomani dei colloqui fra Steinmeier e gli ex partner della coalizione appena scomparsa. Nello Schloss, la residenza di Steinmeier, ieri si sono avvicendati Lindner, Simone Peter e Cem Özdemir dei Grünen; con il presidente federale a sondare le flebili possibilità di ripensamento dei liberali. Allo stesso tempo da Stoccarda il primo ministro Verde Winfried Kretschmann suggeriva di ripercorrere il cerchio giamaicano: «In questo momento darebbe un risultato positivo: negli ultimi giorni tra Verdi e cristiano-democratici c’è stato ulteriore avvicinamento».

Non basta a convincere la maggioranza dei tedeschi predisposta a nuove elezioni nei sondaggi, né a fermare la macchina istituzionale che procede anche in assenza di “motore” politico. Informalmente, ma non troppo, gli esperti della legge elettorale federale hanno già fissato la data per l’eventuale ritorno alle urne: 22 aprile 2018.

Opzione che Steinmeier ha già respinto pubblicamente pur rimanendo nel solco dell’obbligo di gestire eventi ancora tutti da squadernare. Rimane comunque la ratio di pronto impiego nel caso che il vecchio-nuovo capo del governo rimanesse privo della fiducia parlamentare.

IN PARALLELO tra i democristiani c’è chi ancora non si rassegna alla bocciatura dell’esecutivo di minoranza sancita lunedì da Merkel. Tra i “sovranisti” si distingue il vicepresidente Cdu Arnold Vaatz convinto della necessità di «ricompattare» anzitutto il partito.

Esattamente l’accusa che il settimanale Die Zeit rivolge a Schulz: «Prima die Partei, poi il Paese» nonostante le condizioni straordinarie da “strappare” alla cancelliera. «L’Spd potrebbe quasi dettare il corso all’Union facendo pagare a caro prezzo il mandato a Merkel». Se non fosse che tutte le volte che i socialdemocratici hanno sorretto Mutti sono stati puniti dagli elettori.