La Grexit in fondo a destra che preoccupa la Grande coalizione. L’altra partita, tutta tedesca, collaterale al referendum sul debito di Syriza. Un risultato «alternativo» per Cdu & Spd da aggiungere, eccome, al computo delle urne di Atene.

Lo slogan è finto quanto basta alla propaganda, ma l’effetto del «Grazie Tsipras» di Alternative für Deutschland – che sogna l’uscita dall’euro ma della Bundesrepublik – è il vero esito che spaventa i tedeschi.

Il giorno dopo il voto greco l’endorsement del leader populista Bernd Lucke fa ancora più paura. In gioco, una posta più immediata (e qui più importante) del futuro dell’Europa: le prossime elezioni in Germania.

Da 24 ore negli ambienti non solo democristiani della capitale gli analisti misurano l’altro rimbalzo della consultazione. La lettura interna viaggia in anticipo perfino sullo scrutinio di Atene e visto da Berlino il “fatto” risulta anche più compiuto. Resta solo da stimare l’impatto elettorale sul futuro voto federale, ma la prima sconfitta politica degli irriducibili all’accordo con la Grecia del governo Merkel è chiara e innegabile.

Il referendum di Atene, al di là del numero dei Sì e dei No, ha già catapultato a Berlino il «precedente» più pericoloso per la Germania: sul destino dell’Unione possono scegliere i cittadini. Un incubo politico, che stabilizzata la sponda destra su cui la Koalition rischia, e sul serio, di incagliarsi.

Dal punto di vista dei consensi, soprattutto per i conservatori, le conseguenze del voto greco potrebbero rivelarsi più nere del buco contabile e aver già superato il punto di non ritorno. Anche se per adesso di demolito c’è solo l’imperativo categorico dell’«irreversibilità» dell’Europa, cardine della Südpolitik della cancelliera Merkel, smontato empiricamente dai greci.

È giusto l’«aggancio» che serviva a Lucke, e un segnale del fallimento governativo questo fine settimana visibile soprattutto a Essen, nel cuore della Ruhr, dove AfD ha festeggiato il Parteitag nelle stesse ore della consultazione di Atene. Così, il voto della sinistra popolare greca va oltre l’esito ufficiale e diventa materiale didattico per la destra populista tedesca a caccia di consensi nel bacino dei delusi dai falchi «moderati» della Cdu. Un fronte numericamente sempre più ampio. E pericoloso.

Fondata ad Amburgo due anni fa, l’Alternativa per la Germania di Lucke, 52 anni, professore di economia all’Università di Amburgo, ha già sfiorato lo sbarramento al Bundestag nel 2013 (con oltre 2 milioni di voti e il 4,7% dei consensi) e conquistato l’Europarlamento nel 2014 con sette deputati.

La scalata dell’ala oltranzista

Per adesso, nonostanti gli sforzi, AfD non è ancora un partito compatto né una piattaforma stabile: il futuro immediato dei populisti tedeschi rimane fatalmente appeso all’elezione del nuovo vertice, sui cui pesa la scalata “ostile” dell’ala oltranzista guidata dalla sassone Frauke Petry «scettica» anzitutto sulla conduzione di Alternative ora affidata al triumvirato.

Sicuramente lo spostamento (ancora più) a destra di AfD facilita la presa di distanza dagli «estremisti» da parte dell’alleanza rosso-nera, ma nella Grosse Koalition c’è chi teme che la svolta possa, al contrario, attirare nell’orbita populista anche chi finora si è tenuto lontano da slogan come «più canzoni tedesche alla radio», dal «ripristino della frontiera con la Polonia» e dalle «leggi più rigorose sull’aborto» invocate tra i punti salienti nel programma degli alternativi.

Per ora, il Lebensraum di AfD, da assicurarsi prima ancora della conquista dei voti cristiano-democratici, rimane confinato alla prateria politica aperta a destra della Cdu dalla crisi europea permanente. Le manovre in corso per ancorare saldamente ad Alternative l’area piantonata dai vecchi Republikaner e da Pegida sono sempre meno sotterranee e improvvisate, anche se la linea dura, in attesa del “capo” unico, resta ancora imbrigliata nella co-gestione unitaria controllata da Lucke.

Eppure, esattamente come per Pegida, il raggruppamento dei «patrioti» xenofobi (che considera stato islamico la Germania), la geometria variabile dei populisti di AfD appare solo un problema di “gioventù”. L’assestamento degli euroscettici è solo questione di tempo e dopo il referendum di Atene i rapporti tra i (non così) diversi universi del peronismo locale si stringono ulteriormente nel nome del ritorno a una «sovranità» che guarda alla “divisa unica” ben oltre al senso monetario.

Certo, il «malessere» – che da queste parti è sempre bene non sottovalutare – non è scomparso con il flop di Pegida (25 mila manifestanti a Dresda a gennaio 2015, meno di 500 a Berlino tre mesi dopo) e la relazione biunivoca è tutt’altro che estemporanea.

Meno smaccato, politicamente impronunciabile, ma altrettanto pesante è l’altro “ringraziamento” a Tsipras, dei liberal-democratici che per una volta non rimpiangono di stare fuori dal governo. Ad Alexander Graf Lambsdorff, attuale vicepresidente del Parlamento europeo, il referendum di Atene permette di tirare contro l’«indecisione» e la fermezza «tardiva» della cancelliera Merkel, a cui il Fdp rimprovera anche l’incapacità di fermare l’escalation della crisi.

Schermaglie di rito tra ex alleati e gioco delle parti già collaudato nella coalizione Jamaica, tanto che per i liberals il voto greco di ieri rimane comunque «una medicina sbagliata». Solo che il paziente da curare, da ieri, potrebbe non essere già più la Grecia.