A due giorni dal cruciale voto del 25 gennaio, e nonostante Alexis Tsipras ribadisca con toni rassicuranti a Bruxelles, Berlino e Francoforte che un governo delle sinistre «rispetterà gli obblighi della Grecia» nei confronti dei creditori internazionali, ma introducendo un nuovo contratto sociale per il Paese che includa la fine delle misure restrittive, il premier uscente Antonis Samaras continua ad applicare la strategia della paura.

Usando toni di altri tempi, un linguaggio nazionalistico anni ‘50 – quando dopo la sconfitta della sinistra alla guerra civile, il governo di destra aveva messo fuori legge il Kke, il partito comunista – Samaras oggi si rivolge inanzitutto agli elettori di estrema destra, a quel 5% che vota, secondo i sondaggi, i neonazisti di Alba dorata e in secondo luogo agli indecisi che superano il 15%. Il suo obiettivo è semplice, ma tutto sommato irreale: togliere voti ai neonazisti e capovolgere quello che tutti i sondaggi danno per certo, ovvero la vittoria di Syriza. Come tutti, compresi i dirigenti di Nea Dimokratia, si rendono conto che il premier uscente la sera del 25 gennaio non sarà soltanto sconfitto, ma per forza di cose dovrà abbandonare pure la leadership del suo partito.

Ieri un altro sondaggio ha riconfermato quelli precedenti, dando ancora per vincitrice la sinistra radicale, che aumenta il suo margine di distanza rispetto al secondo partito, i conservatori di Samaras. Syriza ottiene il 33,5% dei voti; seguono Nea Dimokratia con 25,5%, il Potami (Il Fiume), partito di centro-sinistra fondato da un giornalista televisivo con il 7%, Alba dorata che raccoglie il 6%, il Kke con il 5,5%, il Pasok al 5% e i Greci indipendenti (Anel), destra anti-memorandum, il 3,5% delle preferenze. Non superano la soglia del 3% il Movimento dei socialisti democratici di Yorgos Papandreou, la Sinistra democratica (Dimar) e l’ Antarsya, formazione della sinistra extraparlamentare.

Intanto ieri tutte le forze politiche ad Atene stavano aspettavano con ansia le decisioni del consiglio direttivo della Bce sul Quantitative easing, il piano di acquisti di titoli di stato proposto dal governatore Mario Draghi per contrastare la deflazione nella zona euro e rilanciare l’economia. La Bce vuole far calare i rendimenti dei bond incoraggiando prestiti e investimenti e far deprezzare l’euro per far aumentare l’inflazione e la competitività. Ben 1100 miliardi sul piatto fino al 2016, e una parte potrebbe essere assorbita da Atene, che ne ha tanto bisogno.

Samaras durante un colloquio telefonico con Draghi prima della riunione del consiglio direttivo ha rassicurato il capo dell’Eurotower che fara tutto il possibile per il rafforzamento del sistema bancario greco, mentre il ministro delle finanze, Gikas Chardouvelis, parlando ieri l’altro in un congresso dell’Economist ad Atene, ha detto che «nell’ambito del programma Qe, promosso dalla Bce, la Grecia potrebbe incassare fino a 15,9 miliardi di euro… con il presupposto che il paese rispetti i patti» con i creditori internazionali.

Due, infatti, per quanto riguarda Atene sono stati i problemi da risolvere nei confronti della Bce: il primo riguarda i titoli di stato che rischiavano di essere esclusi dal programma di Emergency Liquidity Assistance (Ela), visto che sono stati caratterizati come «spazzatura» dai mercati; il secondo è la continuazione del piano di risanamento, che vuol dire accettazione da parte del governo greco della nuova austerity. La Bce sembra che abbia chiuso un occhio sul primo, ma sul secondo il messaggio di Francoforte ad Atene è chiaro. L’acquisto dei bond greci sarà permesso solo con la garanzia che ci siano passi positivi nell’economia. «È una decisione importante che sarà utilizzata dal governo», e stato il commento di Syriza sulla decisione presa a Francoforte.

Il ministro dell’Economia greco ha affermato che comunque il nuovo governo deve incassare 7 miliardi di euro (sui 230 già concessi) per coprire i propri bisogni, ma sta alla troika e al nuovo governo di Atene trovare un accordo sulle misure aggiuntive.

Diverso, invece, il parere di Yannis Dragasakis, numero uno della politica economica di Syriza, anche lui al congresso dell’Economist. Per Dragasakis «un governo di Syriza riconoscerebbe gli accordi per i prestiti, firmati dal Paese con i creditori internazionali, ma dobbiamo riesaminarli. Riconosciamo il debito pubblico, ma vogliamo controllarne la provenienza». Il responsabile della politica economica di Syriza – probabile nuovo ministro delle Finanze nel caso che la sinistra radicale vince domenica – ha aggiunto che per Syriza «il memorandum è una lettera d’intenti che non impegna il Paese». Perciò il suo partito, se dovesse arrivare al governo, sospenderà il controllo della troika (Fmi, Ue e Bce) sull’andamento dell’economia, chiedendo tempo per presentare il proprio programma finanziario, che prevede minori avanzi primari, non tutti da destinare al pagamento del vecchio debito».

La domanda che ci si pone è a questo punto questa: se saranno sospesi momentaneamente (?) i rapporti con la troika e i leader europei, con in testa il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, come potrà il nuovo governo incassare quei soldi (siano l’ultima tranche dei 7 miliardi o quelli provenienti dall’acquisto di bond greci) dai creditori internazionali necessari ad Atene per pagare stipendi e pensioni e per rifinanziare il debito?

«Chiediamo accordi per ripagare il debito che non causino recessione e non spingano la gente verso ulteriore povertà e disperazione» scrive Tsipras in un editoriale pubblicato ieri dal Financial Times. «Un governo di Syriza rispetterà gli obblighi della Grecia in quanto membro della zona euro per il mantenimento di un bilancio in pareggio e si impegnerà per il raggiungimento degli obiettivi», aggiunge il leader della sinistra radicale.