La Grecia è da ieri ufficialmente in default. Lo ha dichiarato il Fesf, il fondo-salva stati, in seguito al mancato pagamento di 1,6 all’Fmi. Per il direttore generale del Mes (Meccanismo di stabilità), Klaus Regling, “questo default è causa di grande inquietudine, rompe l’impegno preso dalla Grecia di onorare gli obblighi finanziari e apre strada a severe conseguenze per l’economia e la popolazione greca”. Ma il Fesf non reclama alla Grecia il rimborso immediato dei 130,9 miliardi che le ha prestato. “Lascio tutte le opzioni aperte” afferma Regling, anche perché se venisse la richiesta di restituzione si tradurrebbe in una perdita secca per gli stati che hanno prestato soldi ad Atene.

La vicenda del Fesf è emblematica, illustra bene l’ambiguità della situazione. A poche ore dal voto di domenica, il gioco è diventato pesante, le pressioni sono sempre più forti sui greci, spinti da tutti, a Bruxelles e nelle capitali della zona euro, a votare “si’” e minacciati del peggiore disastro se voteranno “no”. Jean-Claude Juncker si è pero’ lasciato scappare un’ammissione: “se i greci votano no la posizione negoziale della Grecia sarà molto indebolita”, ma anche se vince il si’ “saranno messi a confronto con difficili negoziati”. Il presidente della Commissione segue le indicazioni della Germania e chiude la porta. “Non c’è nessun negoziato in corso” ha smentito Juncker, mentre Yanis Varoufakis ha affermato, al contrario, che “dietro le quinte” i contatti continuano anche in queste ore di estrema tensione. Per Varoufakis, “potremmo trovare un accordo anche domani mattina”, cioè prima del referendum. Il governo greco spinge sull’acceleratore: “in questa settimana di impasse abbiamo avuto proposte del tutto convenienti provenienti dalla Ue e che l’accordo è più o meno concluso”. Per Varoufakis, la “sola divergenza” sarebbe sulla ristrutturazione del debito. Secondo altre fonti, i creditori avrebbero concesso alla Grecia di aprire i negoziati su questa indispensabile ristrutturazione a partire da ottobre. Affermazioni “assolutamente false” per il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem: “non ci sono nuove proposte verso Atene”. Per il ministro tedesco Wolfang Schäuble, per nuove proposte “ci vorrà tempo”, la Grecia dovrà “fare domanda” per aprire un nuovo negoziato “su base completamente nuova e in un contesto degradato”.

Tsipras ha chiesto un taglio del 30% del debito (ora al 177% del pil, 322 miliardi) e un “periodo di grazia di 20 anni”, senza rimborsi, per poter far riprendere alla Grecia la strada della crescita economica. Secondo il centro studi congiunturali Coe-Rexecode, la Grecia (come del resto l’Italia, soli paesi dell’eurozona in questa situazione) non avrebbe guadagnato nulla dall’entrata in circolazione dell’euro: il pil pro capita sarebbe oggi pari a quello del 1999, intorno ai 24.500 euro, e sarebbe stata bruciata la crescita che aveva portato questa cifra a 33mila euro (2007). L’Fmi, che ha addebitato alla sola Grecia la responsabilità della situazione ha pero’ ammesso, nell’ultimo rapporto, che Atene ha bisogno di una ristrutturazione del debito di 50 miliardi. Posizione respinta dall’Eurogruppo, secondo il presidente Jeroen Dijsselbloem, le cifre dell’Fmi “sono obsolete”.

Tsipras ha respinto “il ricatto” in corso in questi giorni da parte dei creditori: “non è l’appartenenza alla zona euro che sarà giudicata domenica, cio’ che è in gioco è dire se accettiamo una soluzione senza via d’uscita”. I sondaggi vengono utilizzati nella campagna. C’è stata la polemica sul primo sondaggio che ha dato il si’ vincente, due giorni fa, realizzato da Gpo per la banca francese Bnp: Gpo ha smentito l’utilizzazione dei dati, perché erano “frammentati” e sono stati “pubblicati a nostra insaputa” per lanciare l’ascesa del si’, in difesa dell’interesse del settore bancario. Anche la società francese di bricolage Leroy-Merlin ha dovuto smentire di aver fatto pressione sui dipendenti perché votino si’.

A favore del si’ è intervenuto ieri anche il commissario Pierre Moscovici: “sarebbe una scelta coerente con la volontà della grande maggioranza die greci di vedere il loro paese a continuare ad appartenere alla zona euro”, mentre “il no sarebbe un segnale negativo al resto d’Europa che alcuni sfrutterebbero troppo facilmente per decostruire la nostra casa comune”.