Il rinnovo dell’Assembleia da Republica portoghese il prossimo 4 ottobre è il penultimo appuntamento (il prossimo saranno le elezioni spagnole) di quello che si potrebbe definire come il lungo ciclo delle elezioni europee. Riassumendo ai casi più paradigmatici, da un lato ci sono state le vittorie del centro sinistra, Francia (2012) e Italia (2013) dove le promesse di profondi cambiamenti allo status quo sono state completamente disattese sia da François Hollande che dai governi Letta e Renzi. Dall’altro lato invece – in un periodo in cui la crisi dei debiti pubblici si era stabilizzata grazie all’intervento della Banca Centrale Europea (Bce) – ci sono state le conferme dei governi di centro destra in Germania (2013) e Regno Unito (2015).

In Portogallo, da quando la troika è stata chiamata nell’aprile del 2011, si è votato tre volte: legislative (2011, con l’affermazione del centro destra), amministrative ed europee (entrambe nel 2014 con due vittorie relativamente modeste del Ps: 36% circa nel primo caso e 31% nel secondo). Alla sinistra del Ps, il Partido Comunista Português, (Pcp), è cresciuto (12%) e il Bloco de Esquerda, (Be), dopo il crollo del 2011, è riuscito a stabilizzarsi intorno al 5% ed evitare lo sfaldamento totale.

Il ciclo elettorale europeo – se si esclude in modo parziale il caso della Grecia nel 2015, dove comunque l’abdicazione ai diktat europei di Alexis Tsipras non è stata ideologica ma pragmatica – è stato caratterizzato fino ad ora da brucianti sconfitte di tutti quei partiti che, anche se vittoriosi in termini numerici, si erano proposti di mettere fine alle politiche di riduzione dei bilanci statali.

Dato il quadro generale, e senza trascurare il fatto che alle elezioni per il parlamento europeo abbia nuovamente vinto il Partito Popolare (Ppe), non deve stupire più di tanto che all’appuntamento di domenica prossima, secondo i sondaggi, il maggiore partito di opposizione, il Ps, ci arrivi da possibile perdente. L’inesorabilità delle politiche austeritarie che emerge soprattutto dai casi francese e greco ingenera un profondo senso di impotenza e, quindi, di smobilitazione, nell’opinione pubblica portoghese.

La destra ha gioco facile a mettere alle corde i suoi avversari ripetendo ossessivamente ad ogni dibattito la stessa domanda: «Perché vi dovrebbero votare se in nessun caso siete stati risolutivi?».

Sul versante delle nuove formazioni c’è poco da rilevare, nessun Podemos o Syriza è emerso dal movimento degli indignati del 2011-2013. Sono sostanzialmente tre i partiti che si presentano a questa tornata e che non esistevano prima del 2011: il Livre-Tempo de Avançar, Agir e il Partido Democratico e Repubblicano (Pdr). I primi due possono essere inscritti nella tradizione della sinistra marxista o post moderna (per semplificare). Il terzo invece, il Pdr, è un misto di valori populisti (incrementare il potere di decisione diretto dei cittadini a dispetto di quello dei partiti) e liberali (rafforzamento della separazione dei poteri, tutela delle libertà individuali e separazione delle carriere tra magistratura giudicante e pubblica accusa). Dei tre solo il Livre e il Pdr hanno una qualche, se pur minima, speranza di vedere eletto un proprio candidato.

Insomma, nonostante fino al 2013 le mobilitazioni contro il governo guidato da Pedro Passos Coelho siano state intense, il quadro politico/partitico è tutt’oggi caratterizzato da granitica stabilità nella quale, paradossalmente, gli elettori non hanno mai punito in modo decisivo la coalizione di governo (Partido Social Democrata, Psd, centro-destra e Centro Democratico Social Partido Popular, Cds-Pp, destra).

Nulla è ancora scritto e molto può ancora succedere, in ogni caso è facile prevedere che, comunque vada, passata la bonaccia del periodo elettorale, tra banche da rifinanziare e deficit elevati, i prossimi anni torneranno a essere molto difficili.