Ai viaggiatori ottocenteschi erranti tra le vestigia dell’antica provincia romana d’Africa l’anfiteatro di El Jem (Thysdrus), in Tunisia, si presentava come un maestoso rudere, nel cui ventre ancora interrato pascolavano placide greggi. Oggetto di imponenti restauri e ricostruzioni a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, l’edificio non dovette apparire meno intrigante al giovane Jean-Claude Golvin, che a un’ottantina di chilometri da quelle rovine, nella soleggiata e brulicante città di Sfax, era nato nel 1942. Fu proprio la precoce esplorazione dei siti archeologici del Nord Africa a segnare il destino di Golvin, archeologo e architetto che deve la sua fama non solo ad importanti studi sull’architettura antica ma anche alla restituzione per immagini dei grandi siti e monumenti del passato (i disegni realizzati finora sono più di mille), ambito nel quale è considerato il primo specialista al mondo. Esperto di anfiteatri, lo abbiamo raggiunto telefonicamente per parlare del futuro del Colosseo.

Nel 2014 l’archeologo Daniele Manacorda ha rilanciato la proposta – elaborata già dalla fine del XIX secolo – di ridare all’Anfiteatro Flavio quel piano di calpestio rimosso per portare avanti gli sterri e poi, in epoche più recenti, lo scavo stratigrafico dei sotterranei. Allo scopo di concretizzare questo progetto, il Ministero della cultura ha ora disposto 18,5 milioni di euro. Una parte degli addetti ai lavori, tra i quali spicca Rossella Rea – direttrice del Colosseo fino al conferimento, nel 2017, dell’autonomia finanziaria stabilita dalla riforma Franceschini – si oppone però all’operazione, ritenendola inutile ed estremamente pericolosa per la salvaguardia del monumento. Qual è la sua opinione?

Credo si debba valutare un programma di tale rilevanza senza pregiudizi, facendo un bilancio dei vantaggi e delle conseguenze che la sua esecuzione implicherebbe. L’Italia è all’avanguardia in questo genere di interventi e non troverei inopportuna la realizzazione di una copertura leggera e reversibile, per esempio in metallo. Tuttavia, mi pare evidente che il ripristino dell’arena rischi di provocare gravi problemi di degrado alle strutture sottostanti, compromettendo anche la loro eventuale trasformazione in un «museo» dedicato alla storia dell’edificio e ai giochi dell’anfiteatro, con riproduzioni delle macchine di legno. Ammetto che l’idea di mascherare ciò che di autentico e di interessante c’è da vedere, in favore di un’installazione moderna, non mi convince pienamente.

In cosa consiste l’eccezionalità del Colosseo, il cui cantiere iniziò nel 71 o 72 d.C. sotto l’imperatore Vespasiano?
Il Colosseo è il capolavoro per eccellenza dell’architettura degli anfiteatri. Anche se non possiamo affermare con certezza sia stato il primo di tali dimensioni è indiscutibilmente il più impressionante (l’arena misurava circa 80 x 50 m, la facciata esterna raggiungeva i 50 m e la cavea era larga circa 54 m, ndr). Le ragioni della straordinarietà del Colosseo sono anche politiche, in quanto alla fine del controverso regno di Nerone e con l’avvento della dinastia dei Flavi si manifestò il desiderio di erigere una struttura grandiosa. Grazie al bottino della Guerra di Giudea le risorse a disposizione erano formidabili. Il poeta Marziale sottolineò l’aspetto ideologico della costruzione di un colossale edificio per spettacoli concesso al popolo su un terreno un tempo dedicato ai piaceri del tiranno. Occorre inoltre ricordare che l’Anfiteatro Flavio beneficiò dell’assetto della Domus Aurea nonché del lago ornamentale e del congegno idraulico connessi alla sontuosa dimora neroniana, impianti che hanno permesso fin dal principio il funzionamento della stupefacente macchina anfiteatrale.

Gli spettacoli offerti nell’80 d.C. da Tito per l’inaugurazione del Colosseo durarono cento giorni e rivestirono le forme più diverse. Non solo combattimenti fra animali e giochi gladiatori («venationes» e «munera») ma anche naumachie. Proprio la possibilità di inondare l’arena per lo svolgimento di battaglie navali, fa pensare che in quel periodo i sotterranei non dovevano essere particolarmente articolati mentre oggi si possono ammirare nella loro complessità.
Agli inizi lo spazio al di sotto dell’arena era vuoto, sebbene fosse stato già predisposto per ospitare il sofisticato e labirintico sistema che comprendeva innumerevoli gabbie mobili per le belve e decine di montacarichi. Un apparato scenico sbalorditivo, che possiamo lontanamente paragonare a quello utilizzato, in epoche recenti, nei teatri d’opera.

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Quali altri anfiteatri del mondo romano posseggono sotterranei di una tale ampiezza ed efficacia scenica?
I sotterranei degli anfiteatri di Pozzuoli e di Capua sono perfettamente conservati e consentono di osservare gli spazi dove erano alloggiate le fiere (posticae, ndr), i portelli di uscita delle gabbie – elementi sui quali si basano le ricostruzioni delle perdute macchine di legno – e tutti i dettagli sul funzionamento delle gallerie di servizio e dei montacarichi. In entrambi gli edifici campani è inoltre possibile analizzare – meglio che altrove – il poderoso dispositivo di raccolta delle acque piovane, convogliate verso grandi cisterne. Anche gli anfiteatri di El Jem e di Oudna, in Tunisia, mostrano sotterranei di grande interesse mentre fra gli edifici che potrebbero riservare sorprese in questo ambito ci sono quelli di Leptis Magna, i cui sotterranei non sono stati mai indagati e di Nîmes, dove invece il sottosuolo è in corso di scavo.

Uno degli scopi dichiarati del rifacimento dell’arena del Colosseo è di renderla fruibile per spettacoli e manifestazioni culturali. A questo proposito, va evidenziato che la porzione ricostruita nel 2000 è già occasionalmente impiegata a tal fine. È d’accordo su quest’ibridazione tra arte antica e contemporanea?
Non condanno il riutilizzo delle vestigia ma in questo caso lo ritengo del tutto superfluo. Considerando che la cavea non potrà essere resa accessibile alle folle se non a prezzo di una ristrutturazione invasiva, sarebbe più conveniente organizzare spettacoli ed eventi all’esterno dell’Anfiteatro. La tecnologia, poi, offre opportunità illimitate e non bisogna trascurare l’attuale modo di consumazione della cultura attraverso gli smartphone e la televisione. A mio avviso, se una persona si reca in visita al Colosseo è per godere di un’opera architettonica unica e irripetibile, non per partecipare a uno spettacolo al quale potrebbe assistere anche da casa, evitando di nuocere alla tutela di un edificio già soggetto al forte impatto del turismo di massa. Inoltre, penso che per quanto concerne la conoscenza globale dell’anfiteatro, la porzione ripristinata dell’arena è sufficientemente evocativa. Un’aggressione ai danni del monumento che lo sfiguri in maniera definitiva non dovrebbe assolutamente essere autorizzata.

Che senso dà, invece, ai suoi celebri acquerelli?
I monumenti ci sono giunti per la maggior parte nella loro incompletezza e la restituzione fondata su un modello teorico è per me il cuore della ricerca. Gli sforzi degli studiosi per capire il funzionamento e le modalità di costruzione degli edifici antichi, devono condurre a una rappresentazione tanto coraggiosa quanto verosimile della loro immagine originaria. Altrimenti si resta alle cose mutile, che non sono mai esistite e che risultano per questo false e spesso indecifrabili. Reputo il processo di restituzione per immagini un atto di onestà intellettuale non solo verso gli specialisti dell’antichità ma soprattutto nei riguardi del pubblico, che ha il diritto essere informato sulle progressive acquisizioni della ricerca archeologica. Un’altra delle ragioni che mi spinge a perseguire senza sosta il volto delle città e dei monumenti del passato è una sorta di risarcimento nei confronti degli architetti, dei quali – tranne in rari casi – non ci è pervenuto neppure il nome. La storia della tecnica e del savoir-faire è un asse di studio fondamentale e ancora poco approfondito.