Le tangenti sul grande affare dell’Expò e le relazioni politiche per proteggere un latitante colpiscono ma certo non meravigliano. Sono solo la conferma di quello che ogni anno la Corte dei Conti denuncia sulla grande corruzione che divora le risorse del paese, e di quello che l’intreccio tra politica e criminalità organizzata testimonia. E siamo sicuri che l’episodio dell’Olimpico di Roma del 3 maggio, di cui sono piene le cronache, è solo uno squallido lacerto debordato dal mondo del calcio?

La scena di Genny ‘a Carogna, il capo-curva napoletano che tiene in scacco una manifestazione sportiva a cui partecipano decine di migliaia di spettatori, presenziata da alcune fra le maggiori cariche dello Stato, seguita in tv da milioni di spettatori, è stata resa possibile solo dalla violenza plebea e dallo sterminato squallore che caratterizza da anni l’ambiente calcistico italiano? O non è piuttosto la manifestazione drammatica, l’ultimo gradino di degradazione cui è giunta la decomposizione dello spirito pubblico nazionale? Perché Genny ‘a Carogna, non è un episodio, un lazzo folklorico uscito dai bassifondi della vita napoletana. E’ un pezzo della nostra storia, reso legittimo dal filo rosso che marchia da decenni il nostro passato e soprattutto preparato dagli sfregi subiti dalla legalità repubblicana negli ultimi anni.

Ma come si fa – lo fanno televisioni e i giornali – a dare tanto spazio a questo episodio e ai soliti strombazzati provvedimenti governativi e non dire nulla, o quasi, di ciò che quell’episodio rappresenta, quale elemento di continuità allarmante viene a rappresentare nel processo degenerativo della vita civile italiana? Forse che la capacità di ricatto di un tifoso nei confronti dell’intero Stato è disgiungibile, ad esempio, dalla gara che tanti giornalisti italiani (prevalentemente di sinistra) hanno ingaggiato per intervistare Berlusconi nei loro programmi televisivi? I semplici di mente obietteranno: che cosa c’entra?

Ma Berlusconi ha subito una condanna definitiva per un reato grave contro la Pubblica amministrazione che egli doveva rappresentare e tutelare. Non è dunque un pregiudicato, che ha colpe nei confronti della collettività, e per questo, quanto meno, non deve essere reso protagonista della scena pubblica nazionale?
Berlusconi non ha solo subito questa condanna. Com’è noto – e ci si dimentica volentieri – si è macchiato di svariati delitti infamanti, alcuni accertati, altri prescritti, altri oggetto di processi in corso – dalla corruzione dei giudici allo sfruttamento della prostituzione, dall'”acquisto” di parlamentari alla concussione. Ora, non tutto è stato penalmente sanzionato o è rilevante. Ma il pedigree politico di Berlusconi è indubbiamente quello di un capo-curva, per così dire, della vita politica nazionale.

In qualunque paese civile d’Europa e del mondo egli sarebbe oggi in carcere e comunque tenuto lontano dalla vita pubblica. Da noi succede l’impensabile: viene addirittura ricevuto dal presidente della Repubblica, il 3 aprile scorso, per la seconda volta dopo la condanna. La maggiore carica dello stato riceve un pregiudicato che ha inferto ferite gravissime al senso della legalità del nostro paese, a partire dal conflitto di interessi.
Ma qualche superstite persona onesta è in grado ancora di domandarsi quale effetto produce un simile evento nell’immaginario civile degli italiani ? Berlusconi è un condannato o è stato graziato? O addirittura è innocente e il colpevole potrebbe essere Napolitano? Da che parte è il torto da che parte è la ragione? Chi ha frodato il fisco per centinaia di milioni? La magistratura italiana commina davvero sanzioni a chi delinque, o chiude un occhio se il delinquente è un potente?

E allora di che stupirsi se i poliziotti applaudono i loro colleghi assassini, come hanno fatto a Rimini, visto che essi sono rientrati in servizio dopo aver pestato a morte un ragazzo inerme? Di che stupirsi se Giuseppe Scopelliti, ex presidente della regione Calabria, condannato a 6 anni in prima istanza, viene candidato dal suo partito, membro del governo, alle elezioni europee? Nel nostro paese i servizi segreti di uno statarello dittatoriale possono sequestrare una persona (la Shalabayeva) e il ministro responsabile (Alfano) , restare al suo posto. E’ ancora ministro dell’Interno del governo che “combatte la palude”.

E’ questa la melma a cui è stato ridotto lo spirito pubblico del nostro paese. E’ questo il cancro che si sta mangiando la nostra amata Italia, la causa vera e profonda del nostro declino: l’inosservanza universale delle regole della vita comune, la legge del più forte come principio di regolazione sostanziale del rapporto fra le classi e fra le persone.
Qualcuno sa dire con quale autorevolezza un ceto politico che ha sconvolto l’etica civile e la decenza politica del nostro paese può chiamare i cittadini a concorrere a uno sforzo collettivo di cambiamento e addirittura di salvezza? E non è vero che Renzi sta cambiando verso, come va reclamizzando tra gli schiamazzi della sua petulante corte governativa e parlamentare. Le sue scelte e la sua stessa parabola portano l’illegalità diffusa della società italiana e dei partiti dentro le istituzioni. Senza essere stato eletto è a capo del governo e pretende di riformare la Costituzione con un parlamento privato di legittimità da parte della Corte costituzionale. Come ha ricordato con argomenti inoppugnabili Alessandro Pace. (Repubblica, 26/3/2014) L’arbitrio e lo sconvolgimento delle regole, vale a dire la morale di base della criminalità organizzata – che non a caso da noi, unici al mondo, dura e prospera dalla metà del XIX secolo – si espande anche nelle istituzioni, plasma la vita dei partiti, si fa strada dentro lo stato.