Per il pezzo che ha ideato e che guiderà, la violinista Alison Blunt distribuisce ai musicisti e al pubblico dei fogli o delle striscioline di carta con brevi testi e frasi da interpretare liberamente, non necessariamente in maniera integrale: a chi scrive tocca “Anarchism is democracy taken seriously”, dello scrittore ecologista americano Edward Abbey. I musicisti recitano in maniera in generale piuttosto veemente, ma anche diversi spettatori ci danno dentro: in un garbuglio di declamazioni, bisbigli, grida, dal pubblico emerge più volte uno stentoreo, convinto “Nothing is yours!”. Senza partitura, seguendo le indicazioni di Alison Blunt, momenti in cui le voci sono più presenti si alternano ad altri più orchestrali, con grandi accordi di tipo sinfonico-contemporaneo, con i quali il brano va poi a spegnersi. I musicisti sono una trentina – almeno una metà sono donne – raccolti per due sere al Cafe Oto per festeggiare i vent’anni della London Improvisers Orchestra: si va dagli archi, ai fiati, alla slide guitar, all’elettronica, alle percussioni, fino agli oggetti con cui Adam Bohman ha imbandito un tavolino.

NELLA FORMAZIONE siedono musicisti che in periodi diversi hanno collaborato con la LIO, e fra loro alcuni dei più bei nomi della scena free britannica: Steve Beresford, piano, John Edwards, contrabbasso, Sylvia Hallett, violino, Caroline Kraabel, sax, Neil Metcalfe, flauto, il sudafricano Louis Moholo, batteria, Maggie Nichols, voce, Orphy Robinson, percussoni, Pat Thomas, tastiere, Phil Wachsman, violino, Annie Whitehead, trombone, Jason Yarde, sax. Kraabel, Beresford, Thomas e il sassofonista Evan Parker, assente giustificato, sono stati dall’inizio fra i principali animatori di questa esperienza, nata dalla riflessione di alcuni musicisti sulla loro partecipazione nel ’97 ad un tour di “conduction” guidate da Butch Morris. Fra gli improvvisatori coinvolti c’era stato chi non aveva apprezzato l’elemento di autoritarismo insito nella “conduction”: nelle note di copertina del doppio cd pubblicato per i vent’anni della LIO, Twenty Years On, Evan Parker ricorda un emblematico Derek Bailey che si alza e se ne va trenta secondi dopo l’inizio di una prova quando Morris gli dice che perché le cose possano funzionare Bailey lo deve guardare. Ma c’era stato invece chi aveva desiderato sperimentare ulteriormente le potenzialità della “conduction”. La LIO ha sviluppato un sistema di segni, ma poi ognuno dei “conduttori” ci mette del suo: chi dirige con la bacchetta, chi con vari tipi di gesti, chi con piccoli cartelli con lettere, chi, come Caroline Kraabel, ricorre alla mimica facciale, chi, come la svizzera Charlotte Hug – ed è forse il caso più velleitario – con una specie di action painting attuata con due grossi pennelli; e c’è chi, come Phil Wachsman, dirige di più l’insieme, chi, come Pat Thomas, dà indicazioni più puntuali, non facendo suonare tutti ma in maniera più selettiva via via alcuni strumenti e combinazioni di strumenti.

NELLE NOTE all’album Evan Parker attribuisce legittimità ad un sistema di improvvisazione guidata solo quando le dimensioni della compagine sono tali che il singolo improvvisatore non può avere la percezione globale del interplay, mentre un direttore che è fuori può avere una visione d’insieme. Ma naturalmente le cose non sono così semplici: il direttore non si limita a “gestire” l’improvvisazione, ha in testa la fisionomia di un brano, e inoltre “compone” all’istante, e dunque rimane l’elemento dell’improvvisazione individuale, assai meno quello dell’improvvisazione collettiva, effettivamente salvaguardato solo in alcuni brani senza direzione. Se la free music è una grande metafora di forme di società e politica non autoritarie, su scala orchestrale tocca il tema attualissimo della tensione fra autonomia e sua organizzazione.