«Con tanta nostalgia, ricordo gli anni della Rivoluzione (cubana). Era bello lo spirito col quale si lavorava. Avevamo molta libertà. Era un’atmosfera nella quale si pensava, si rifletteva ,si sperimentava. Mai avevo avuto l’opportunità di partecipare a un progetto di questo tipo. Incontrare un paese nuovo, gente nuova è stata una grande impresa».
Una grande impresa alla quale l’architetto Roberto Gottardi si è dedicato fino alla sua scomparsa avvenuta ieri all’Avana all’età di 90 anni a causa di una polmonite.

Gottardi è il coautore, assieme al conterraneo Vittorio Garatti e al cubano Ricardo Porro, della Scuola d’Arte dell’Avana (Isa e Ena) un progetto voluto da Fidel Castro e da Che Guevara all’inizio degli anni ’60 e che può costituire una parabola della Rivoluzione cubana. Un’opera audace e sperimentale, ma legata a un sogno quello di trasformare un esclusivo – nemmeno il presidente Batista aveva potuto essere socio perché mulatto – campo da golf nella scuola d’arte aperta a tutti i giovani latinoamericani. Edifici organici di latterizi – mancava il cemento armato a causa dell’embargo Usa – e con il recupero della volta catalana, una concezione moderna ma a scala umana che caratterizza lo spirito dei primi tempi della Rivoluzione.

Oggi dopo quasi sessant’anni la Scuola deve essere ancora terminata. E Roberto Gottardi era ancora impegnato nell’ennesimo progetto per la «sua» scuola di teatro. Dei tre architetti era l’unico che aveva scelto di rimanere a Cuba e di portare in porto con grande caparbietà «la grande impresa». Nato a Venezia il 30 gennaio 1927, laureato nel suo Istituto superiore di archiettura nel 1952 e influenzato dagli insegnamenti di Carlo Scarpa e Giuseppe Samonà, Gottardi dopo aver lavorato a Milano si era trasferito in Venezuela nel 1957. Qui aveva conosciuto Ricardo Porro al quale quattro anni dopo Fidel assegnò il compito di dare forma alla sua utopia di una scuola d’arte che fosse uno scenario mondiale per documentare la lotta e la passione degli artisti rivoluzionari latinoamericani. Porro accettò e propose a Garatti e Gottardi di partecipare alla sfida.

I tre come, ci disse Gottardi in un’intervista per Alias (17 maggio 2014, ndr), lavorarono in grande autonomia in un progetto che comprende le scuole nazionali di danza contemporanea arte plastica arte drammatica musica e balletto in cinque padiglioni distribuiti in un terreno attravesato da un torrente e con grande vegetazione tropicale. Come detto sopra gli architetti usarono il materiale che avevano a disposizione, il latterizio, dando origine a una composizione di cupole e volte catalane che ricorre tutta la Scuola.

Le loro forme libere espressive e inedite sintetizzarono la fusione della modernità, la tradizione coloniale e il recupero della cultura africana. L’insieme è risultato un’opera maestra. Ma incompleta. Nel 1965 con un’economia strangolata dall’embargo americano e dipendente orami dall’Urss, Fidel decise che la priorità doveva essere data alla costruzione di case popolari e la Scuola restò senza fondi con il solo padiglione di arte plastica completato. Nonostante questo l’Isa funzionò, si riempì di giovani studenti e ha prodotto molti talenti. Ma il sospetto che la decisione di bloccare i fondi fosse dovuta alle critiche degli ortodossi, fautori del realismo socialista sovietico, portò Garatti e Porro a lasciare l’isola, il primo per Milano, il secondo a Parigi.

Gottardì restò, si sposò , insegnò progettò l’edifico del Comando nazionale dell’agricoltura e la ristrutturazione del ristorante «A Prado y Neptuno» tra l’altro. E continuò a lavorare al completamento del suo padiglione di arte drammatica. La scuola fu inserita dall’Onu nell’elenco delle cento opere mondiali da salvare e nel dicembre del 1999 il governo cubano invitò i tre architetti a terminare il loro lavoro. Ma la scarsezza di fondi ha fatto sì che i lavori ristagnino.

Nel 2012 il presidente Giorgio Napoiltano ha concesso il premio «Vittorio de Sica» per l’architettura ai tre architetti, nel 2016 Gottardi è stato insignito del Premio nazionale di architettura di Cuba per il lavoro di una vita.

In primavera quando lo incontrari all’inaugurazione di una galleria d’arte nello storico barrio «Buena Vista» era molto provato ma ancora era interessato a mantenersi in contatto con una parte della sua storia di gioventù, alle idee che lo legavano tra l’altro a Luciana Castellina della quale mi chiese informazini sull’ultimo libro pubblicato.