«Facciamo del nostro meglio, ma la situazione è complicata». Ex giornalista, Noor Rahman Akhlaqi ha un incarico da far tremare i polsi: ministro per i Rifugiati e i Rimpatriati. Ci accoglie nel suo studio al ministero, in un quartiere alle spalle dei giardini di Bagh-e-Babur. Spiega che ha tre obiettivi: «Facilitare il rientro di chi è all’estero, occuparci degli sfollati interni e aiutare i rifugiati nei Paesi stranieri».

TRE COMPITI DIFFICILI ovunque, quasi impossibili qui. Secondo l’ultimo rapporto dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, l’Afghanistan è il terzo Paese al mondo dopo la Siria (6,8) e il Venezuela (4,9) per numero di rifugiati: 2,8 milioni. La preoccupazione maggiore oggi sembra però riguardare chi è dentro i confini nazionali, non fuori. Tra questi, i rimpatriati dai Paesi confinanti, Iran e Pakistan. Soltanto tra gennaio e maggio 2021, più di 490.000 afghani senza documenti sono ritornati a casa: un incremento del 42% rispetto allo stesso periodo del 2020. Metà di loro è stata deportata. E secondo i dati dell’Organizzazione per le migrazioni internazionali, le famiglie ricorrono sempre di più al lavoro minorile per sbarcare il lunario.

«Proviamo in tutti i modi a favorirne il reintegro, ma le risorse sono insufficienti», ammette il ministro. Per il quale la priorità sono gli sfollati interni. «Secondo le organizzazioni internazionali sono 4,1 milioni, per noi 2,5», sostiene.

SECONDO I DATI DEL MINISTERO, dall’inizio dell’anno, specialmente dopo l’1 maggio, sarebbero 128.000 le famiglie sfollate a causa del conflitto. Le truppe straniere sono sulla via di casa, i Talebani all’offensiva. Più di 40 i distretti passati sotto il loro controllo. I civili scappano. E svaniscono le promesse degli stranieri. «La riduzione degli aiuti internazionali già c’è stata – nota il ministro -. Lo scorso inverno l’obiettivo era assistere 200.000 famiglie in totale. Con le nostre finanze ne abbiamo potute assistere solo 20.000, altre 50.000 grazie all’aiuto degli stranieri. Sono rimaste senza aiuto 130.000 famiglie». Un numero enorme. «Se la riduzione dovesse continuare a questo ritmo, l’impatto sarebbe molto negativo».

Dopo il ritiro completo delle truppe straniere, «senza dubbio gli sfollati interni aumenteranno» ci dice Akhlaqi.Così come il numero di chi lascia l’Afghanistan. «Lavoriamo affinché gli afghani restino qui, ma ci aspettiamo che saranno in tanti a emigrare». La tendenza è già in atto secondo Abdul Ghafoor, direttore dell’Afghanistan Migrants Advice and Support Organization, un’associazione che fornisce informazioni e sostegno a migranti e rimpatriati. «Nei caffè, nelle case, tra amici, non c’è posto in cui non si parli di come lasciare il Paese. Tutti cercano un modo per andarsene. Spiace dirlo, ma è un fallimento per la Nato, per il governo afghano. Avevano promesso sicurezza e stabilità, non c’è nessuna delle due». Per Ghafoor la ragione è una: «L’incertezza sul futuro, la sicurezza che peggiora di giorno in giorno, l’uccisione di civili ovunque, nelle scuole, sui bus pubblici, nelle case. Non c’è luogo in cui ci si senta al sicuro». La pandemia ha a lungo diminuito le partenze, anche a causa delle restrizioni dei Paesi confinanti, ma si è tornati a emigrare. Si continuerà a farlo. Più di prima.

NELLE AMBASCIATE di Wazir Akbar Khan, qui a Kabul, i diplomatici europei non nascondono la preoccupazione: elencano »l’ondata migratoria» tra i rischi della fase post-ritiro. Temono che gli afghani, senza sicurezza, arrivino a cercarla in Europa. Sono disposti a concedere asilo solo a interpreti e collaboratori delle forze di sicurezza, anche grazie a una campagna mediatica internazionale. «I governi stranieri dovrebbero prendersi cura di chi, qui in Afghanistan, si è preso cura di loro, aiutandoli. Hanno la responsabilità di portarli al sicuro – sostiene Ghafoor -. Se i Talebani dovessero attaccare le città, i primi obiettivi sarebbero quanti hanno lavorato con gli stranieri».

QUANTO A TUTTI GLI ALTRI afghani, l’Europa sembra volersene proteggere. Nell’ottobre 2016 a Bruxelles è stato firmato il Joint-Way Forward, un accordo tra l’Unione europea e il governo di Kabul. Prevedeva il rimpatrio – anche forzato – di tutti gli afghani la cui richiesta di asilo fosse rigettata dai Paesi membri, in cambio di aiuti economici. Scaduto quell’accordo, il 26 aprile 2021 è stato sostituito dal Joint Declaration on Migration Cooperation, in linea con il Nuovo Patto su Migrazione e Asilo dell’Unione europea. Al centro, sempre i rimpatri. «È un accordo perfino peggiore del precedente – sostiene Ghafoor -: quello escludeva dal rimpatrio alcune categorie di persone vulnerabili, il nuovo non le tutela più».

IL MESSAGGIO DI GHAFOOR è chiaro: «Smettetela di deportare gli afghani, di sbatterli in una situazione di guerra. Continuano a farlo Germania, Svezia, in parte Austria, Danimarca, Ungheria. Non l’Italia», ci dice. Numeri sicuri non ne fornisce. Ma racconta i casi molto recenti – solo di pochi giorni fa – di alcuni ragazzi rimpatriati dalla Svezia e dalla Germania. E spiega le difficoltà del reinserimento nella società: «Per persone che hanno passato anche 5/6 anni in un Paese europeo, reintegrarsi è difficile. C’è la violenza del conflitto, le esplosioni, la criminalità, e c’è la violenza di chi li vede ormai come estranei, come occidentalizzati». Anche per questo, la percentuale di chi riparte è molto alta. «La prima cosa che fanno, una volta rimpatriati, è trovare nuovi documenti. Per ripartire di nuovo».

A ripartire pensano anche funzionari e diplomatici di Wazir Akbar Khan. Nelle ambasciate si stilano piani di evacuazione. Se la situazione dovesse mettersi male, se i Talebani dovessero avvicinarsi troppo a Kabul, bisogna essere pronti a lasciare il Paese. Per questo è così importante garantire la sicurezza dell’aeroporto della capitale. Da una parte chi si prepara a evacuare, dall’altra chi viene rimpatriato. Con modi diplomatici, nota la contraddizione anche il ministro Akhlaqi.

QUANTO AI PATTI con l’Unione europea, per lui «non c’è differenza tra i due accordi». Ci fornisce numeri ufficiali sugli afghani rimpatriati dall’Europa. «Nel corso di quest’anno, finora 24 persone sono ritornate volontariamente dall’Europa, mentre i rimpatriati sono 272». Impossibile prevedere quanti lasceranno il Paese. «Ma saranno tanti».