L’economia al Sud rischia una «grande frenata» dopo un triennio di crescita, nel 2015-2017, che comunque non è servito a recuperare il patrimonio economico e sociale disperso dalla crisi: l’allarme l’ha dato Svimez, che ieri ha presentato le anticipazioni del Rapporto 2018. Continuano a mancare i fondi pubblici: a trainare la timida ripresa sono infatti gli investimenti privati, cresciuti nel Mezzogiorno del 3,9% (3,7% al Centro Nord), insufficienti a colmare il distacco dai livelli precrisi, rispetto a cui resta un meno 31,6% (mentre al Centro Nord è meno 20%). Emblematica la contrazione della spesa pubblica corrente nel periodo 2008-2017: meno 7,1% nel Mezzogiorno, mentre è cresciuta dello 0,5% nel resto del paese. Così, in base alle previsioni Svimez, nel 2018 il Pil del Centro Nord dovrebbe crescere dell’1,4% ma solo dell’1% al Sud. «In questa stagione di incertezze, le prospettive per il Sud peggiorano – ha spiegato Adriano Giannola, presidente Svimez -. I dati che iniziano a circolare sul rallentamento della crescita preoccupano, anche perché il Mezzogiorno continua a portarsi dietro tutte le sue arretratezze».

ANCHE I CONSUMI pesano sulla differente dinamica territoriale (più 1,2% nel Centro Nord, più 0,5% nel Sud). Quelli della Pubblica amministrazione, in particolare, segnano più 0,5% nel Centro Nord e meno 0,3% nel Mezzogiorno. Alle ultime politiche gli elettori meridionali hanno votato in blocco i 5S anche per dare una scossa alle politiche economiche e adesso attendono risposte.
Senza una svolta, infatti, si rischia nel 2019 un forte rallentamento dell’economia meridionale: la crescita del Pil sarà dell’1,2% da Roma in su e solo dello 0,7% al Sud con «un sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo» rispetto al 2017. Nel 2019 il livello degli investimenti pubblici al Sud rischia di essere inferiore di circa 4,5 miliardi rispetto al picco del 2010. Eppure per annullare il differenziale di crescita tra le aree basterebbe finanziare le infrastrutture meridionali «con un beneficio per l’intero paese. Centro Nord e Mezzogiorno crescono o arretrano insieme» ricorda Svimez. Infatti, nel periodo 2000-2016 le due macro aree hanno condiviso la stessa dinamica del Pil: più 1,1% in media annua. Inoltre, 20 dei 50 miliardi circa di residuo fiscale trasferito alle regioni meridionali dal bilancio pubblico è ritornano al Centro Nord sotto forma di domanda di beni e servizi.

L’ALTRA FACCIA della debole rispresa è l’aumento del disagio sociale tra famiglie in povertà assoluta e lavoratori poveri, con la limitazione dei diritti di cittadinanza e il divario nei servizi pubblici rispetto al Nord. Due le conseguenze: meno giovani e meno Sud. «Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione 883mila residenti: la metà di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800mila non sono tornati» si legge nel rapporto. E ancora: «Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila (nel Centro Nord sono 470 mila)». Gli effetti al Sud ci sono stati anche nella struttura degli occupati: sono cresciuti gli ultra cinquantenni (più 470mila unità) mentre è diminuita la fascia 15-34 anni (meno 578 mila).

SI SONO FORMATE così «sacche di crescente emarginazione, che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici». Il numero di famiglie senza alcun occupato è cresciuto nel 2016 e 2017 in media del 2% all’anno, concentrate prevalentemente nelle grandi periferie urbane. Nonostante una pressione fiscale pari se non superiore a quella del Nord, sono carenti diritti fondamentali come vivibilità, sicurezza, istruzione, sanità. Preoccupante anche il fenomeno dei working poors: «La crescita del lavoro a bassa retribuzione, dovuto alla dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time involontario, è una delle cause, in particolare al Sud, per cui la crescita occupazionale durante la ripresa non ha inciso su un quadro di emergenza sociale sempre più allarmante». Neppure l’immigrazione è servita a colmare il gap con il Nord. La popolazione diminuisce malgrado aumentino gli stranieri: nel 2017 il calo è stato di 203 mila unità a fronte di un aumento di 97 mila stranieri residenti.

NEL 2017 il Pil è aumentato al Sud dell’1,4% rispetto allo 0,8% del 2016. Un risultato in linea con il Centro Nord (1,5%), dovuto al recupero del settore manifatturiero (5,8%). L’occupazione però è rimasta debole e soprattutto precaria. Calabria, Sardegna e Campania hanno fatto registrare il più alto tasso di sviluppo, rispettivamente 2, 1,9 e 1,8%. Al Nord le regioni trainanti hanno fatto segnare 2,6% in Valle d’Aosta, 2,5% in Trentino Alto Adige, 2,2% in Lombardia.