L’ultimo caso, un ex linebacker a livello collegiale, con più commozioni cerebrali subiti nell’arco della sua carriera. Poi la diagnosi, una volta appeso il caschetto al muro, impietosa, irreversibile, encefalopatia degenerativa cronica, nota come CTE (Chronic traumatic encephalopahty), patologia diagnosticabile solo dopo la morte, che terrorizza da qualche anno il microcosmo del football americano, che si riscontra in persone che hanno subito più di un trauma cerebrale, incluse commozioni cerebrali sintomatiche e asintomatiche causate da colpi subconcussivi alla testa.

Era conosciuta come sindrome da demenza pugilistica e si pensava fosse legata, negli atleti, principalmente al pugilato. Non è così. Ne era affetto Dave Duerson, ex Chicago Bears, suicida cinque anni fa. E gli atleti, anche i campioni, hanno paura. Sydney Rice, vincitore del Superbowl 2014 con i Seattle Seahawks, qualche mese dopo si ritirava, convinto di aver patito dai 15 ai 20 traumi cranici nel corso della carriera. E lo stesso Rice, assieme a Steve Weatherford, punter dei New York Giants, decidevano di donare post mortem il loro cervello alla scienza, per dare un contributo alla scoperta della genesi di patologie come l’encefalopatia degenerativa cronica. E in attesa di avere dati sulla stagione Nfl che va a finire, nel 2015 sono stati registrati 111 casi di commozione cerebrale tra gli atleti Nfl, il 25% in meno rispetto al 2013. Un dato che si associa allo studio precedente del Department of Veterans Affairs Biorepositority: patologie degenerative in 76 dei 79 Nfl esaminati. Qualche settimana fa è uscito il film Concussion, protagonista Will Smith nel ruolo di un neuropatologo forense, Bennett Omalu, che per primo ha scoperto la encefalopatia traumatica cronica legata ai traumi multipli o colpi al cervello e per primo ha intrapreso una dura lotta per portare alla luce la verità.

La Nfl temeva parecchio questo film, uscito mentre provava a negoziare con le famiglie di molti ex atleti che hanno fatto causa alla Lega, una class action per le conseguenze dei traumi subiti sul terreno di gioco, ottenendo un risarcimento economico mentre alcuni sono anche ricorsi ai tribunali per ottenere giustizia. Con lo stesso Omalu che poche settimane fa alla rivista Time, in contemporanea con l’uscita del lungometraggio di Smith, rivelava l’ultimo sconcertante dato in suo possesso: il 90% degli atleti Nfl soffrono di danni cerebrali.

Una notizia che ha creato una psicosi collettiva così da danneggiare l’immagine del football negli Usa, lo sport che si pratica in giardino, in casa, alle high school, nei campus. Non sono certo a rischio le tasche della Nfl stessa o dei proprietari delle franchigie, che ogni anno per il disturbo ricevono pacchi di milioni di dollari dalle tv, dal merchandising. Insomma la giostra continua a girare ma il problema è serio, i casi si moltiplicano, molte famiglie impediscono ai figli di avvicinarsi alla palla ovale, temendo della loro salute.

E anche il presidente Barack Obama qualche tempo fa ammetteva che difficilmente consiglierebbe a suo figlio di giocare a football conoscendo ancora poco degli effetti delle commozioni cerebrali, tra cui l’incubo CTE. Per questo motivo la Nfl si è affidata anche alla tecnologia, oltre che a studi medici, stanziando milioni di dollari per la prevenzione.