La ragazza cammina di spalle nell’antica fortezza di Ushayqir. Capelli neri, t-shirt nera a maniche corte e una gonna sopra il ginocchio. Il video viene pubblicato sul social network Snapchat e diventa virale in poche ore.

Il motivo è semplice: il villaggio in questione si trova nella provincia di Najd (luogo natale del wahhabismo, movimento islamico ultraconservatore alla base della fondazione stessa dell’Arabia saudita) a 150 chilometri da Riyadh e la ragazza – c’è chi dice una modella – è una cittadina saudita.

E scoppia la bufera nel paese tra i più conservatori al mondo, dove per legge la donna deve coprirsi il corpo, con l’abaya, capo di vestiario che lascia visibili solo mani, piedi e testa.

La ragazza, identificata con il nome di Khulood, è stata arrestata e il suo caso trasferito alla procura generale di Riyadh. Con un comunicato la commissione per la promozione delle virtù e la prevenzione del vizio, ovvero la polizia religiosa, aveva fatto sapere martedì di star investigando sulla questione e che «le misure necessarie» sarebbero state prese nei confronti «della ragazza con vestiti offensivi».

Ma ieri un nuovo comunicato, stavolta del Ministero dell’Informazione, riporta del rilascio della giovane senza accuse pendenti: il procuratore generale di Riyadh, si legge nel comunicato, ha chiuso definitivamente il caso.

Ma a dare il polso della situazione interna è la reazione della società saudita: sui social imperversano i commenti denigratori e offensivi di molti sauditi, oltraggiati da tanta «sfacciataggine», che chiedono subito un processo.

A parlare sono anche note personalità saudite, come lo scrittore Ibrahim al-Munayif che si appella alla legge vigente nella petromonarchia, 141esimo paese su 144 secondo il Report sulla disparità di genere del Forum Economico Mondiale: «Come si chiede alla gente di rispettare le leggi dei paesi in cui viaggiano, così la gente deve rispettare la legge di questo paese».

L’hashtag, in arabo, «chiediamo che Khulood la modella sia portata di fronte ad una corte» è diventato subito virale. Non sono mancate le voci a sostegno di Khulood, soprattutto femminili, che ne hanno esaltato il coraggio e ricordato che quella stessa legge non viene applicata alle donne straniere.

Lei minimizza, afferma di non aver pubblicato il video online e di non esserne stata a conoscenza. E, ha aggiunto durante l’interrogatorio con la polizia, era stata accompagnata nel giro turistico dal suo guardiano, la figura maschile che nella legislazione saudita è imposto alle donne per ogni tipo di attività da svolgere.

Commenti giungono anche dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani: «L’ossessione continua dell’Arabia Saudita per il vestiario femminile mostra come le autorità non si siano discostate dalla mentalità paternalistica e discriminatoria che ostacola la vita delle donne», ha detto Sarah Leah Whitson, direttrice di Human Rights Watch per il Medio Oriente e il Nord Africa.

All’inizio di luglio era finita dietro le sbarre per nove giorni Manal al-Sharif, attivista 38enne e ingegnere informatica, la prima donna ad essere assunta dalla Saudi Aramco (la compagnia nazionale energetica, nell’ultimo decennio).

Arrestata per aver guidato, altra pratica negata alle donne saudite ma sempre più spesso sfidata a colpi di video e fotografie per smuovere la legislazione interna. Al-Sharif è un volto noto: scelta dal Time come una delle 100 persone più influenti al mondo, ha lanciato nel 2011 fa la campagna Women2Drive dopo aver pubblicato su YouTube un video di lei alla guida. In poche ore aveva avuto quasi un milione di visualizzazioni.