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Mark Zuckeberg è da sempre attento agli umori e le chiacchiere della società civile. D’altronde è su questo che ha costruito le fortune economiche di Facebook.

Da alcuni mesi, il gran capo del social network è attivissimo nel presentare il punto di vista della sua impresa su questo e quell’aspetto della circolazione di informazioni, foto e video sul social network. Ha annunciato variazioni nella policy per battere la moltiplicazione di pagine che veicolano fake news, oppure il sessismo sui luoghi di lavoro, il razzismo. Ogni volta lo ha fatto spiegando in lunghi messaggi il perché e il come tali problemi sarebbero stati affrontati. Si è scusato – una vera e propria notizia – il perché gli algoritmi di di Facebook hanno censurato post poco in sintonia con l’ordine costituito, senza essere offensivi verso nessuno. Giovedì sull’account di Zuckeberg è stato postato un suo lungo e programmatico testo dal titolo Building Global Community, dove riassume e articola la nuova policy del social network precendentemente illustrata a singhiozzo.

Il titolo è diventato subito sinonimo di una critica esplicita ai provvedimenti del presidente Usa Donald Trump sulla limitazione degli ingressi alle donne e gli uomini nati in alcuni paesi a maggioranza musulmana. C’è da dire che nelle 14 pagine del documento Donald Trump non è mai citato. Solo un presidente degli Stati Uniti è citato, in chiusura, ed è Abramo Lincoln, quando sosteneva che non bisogna abbattersi o farsi dominare dallo sconforto se se ci sono forze che trasformano la realtà volge al brutto.

L’interpretazione del testo come un manifesto antiTrump è una forzatura, ma in linea con quanto sostenuto dallo stesso Zuckeberg nelle settimane scorse, fino ad essere uno dei maggiori sostenitori, assieme ai boss di Google e Jeff Bezos di Amazon, della lettera contro il muslimban firmata da gran parte delle imprese high-tech. Un gesto che ha permesso ai media di titolare la scelta di Silicon Valley di stare all’opposizione di Trump.

Non è certo la prima volta che imprese globali scendono nel campo della politica comportandosi come un soggetto politico, ma il gesto delle imprese high-tech segnala che una divisione nel big business statunitense. Sta di fatto che il protagonismo di Zuckeberg ha reso virale una fake news che lo indicava come prossimo candidato alla Casa Bianca .

Il titolo del manifesto di Zuckeberg, anche se non cita mai Trump, suona comunque come una presa di distanza dalla logica isolazionista, nazionalista del presidente Usa. In primo luogo perché Facebook viene presentato come un social network che vuol costruire una comunità globale, cioè una comunità che ignora confini, barriere, che è inclusiva e non tiene fuori nessuno. La Global Community di Mark Zuckeberg non è quindi compatibile con lo slogan America First di Donald Trump.

Nel documento è riassunta la vision di Facebook. Fiducia cieca nella tecnologia come mezzo per far comunicare uomini e donne; convinzione profonda che i social network possono aiutare chi è in difficoltà. Sono infatti citati i casi del gruppo berlinese messo in piedi da Monis Kukhari per trovare casa e lavoro ai rifugiati siriani, la gara di raccolta fondi dopo il terremoto in Nepal. Così come sono evidenziati la gara di solidarietà per raccogliere informazioni e fondi per uomini e donne colpiti da malattie rare; oppure di come vari primi ministri – come quello indiano Modi – che hanno invitato i ministri ad usare Facebook per dialogare con i cittadini. Oppure che la rete può aiutare a cacciare dittatori sanguinari. Un elenco che si dilunga per ogni punto trattato dal documento, da come salvaguardare le comunità «virtuali», come renderle sicure isolando troll e chi si infiltra per fare affari sporchi o per fare propaganda a stili di vita «non corretti».

Insomma, i social network, e Facebook in particolare, come luoghi sicuri e armoniosi. In fondo, sono le chiacchiere e gli stati d’animo che fanno fare affari. Dunque servono luoghi sicuri affinché ognuno metta il suo like o posti «stati d’animo». A impacchettare dati e fare profili ci pensa Mark Zuckeberg. Dati che non tollerano confini o politiche isolazioniste come quelle di Donald Trump.