«Consiglio comunale: in scena l’arroganza, la malafede e la violenza a 5Stelle». Comincia così il comunicato stampa diffuso nella serata di ieri dal direttivo della Casa internazionale delle donne di Roma che, ancora una volta inutilmente, ha cercato di prendere parola in Campidoglio per scongiurare la votazione della mozione di Gemma Guerrini che vuole togliere alla Casa il complesso del Buon Pastore. Se l’approvazione di ieri pone in una condizione critica le amiche di via della Lungara, finalmente porta allo scoperto le reali intenzioni di questa maggioranza: quella di eliminare una delle esperienze politiche più significative per Roma e per il paese intero, che nella rappresentazione pubblica e simbolica ha una collocazione precisa nel movimento delle donne.

IL FEMMINISMO per Gemma Guerrini è infatti un’espressione priva di significato, come per lei anche per le sue colleghe che hanno firmato quella grave relazione che decreta – secondo loro – il fallimento del progetto della Casa internazionale delle donne di Roma. Priva di significato perché fuori dal refrain dei conti che devono tornare, della messa a reddito, per porre fine alla «inerzia» e allo «sconcio» (parole, di una gravità inaudita, queste usate da Guerrini nel suo intervento in consiglio) per «riallineare il progetto a più moderne esigenze». Che non si sa quali siano ma tant’è.

A NULLA È VALSA LA PRESENZA di molte che chiedevano di intervenire, altrettanto inutili gli interventi delle consigliere Cristina Grancio e Svetlana Celli che segnalavano come le precedenti associazioni, per altre mozioni, fossero state lasciate libere di intervenire. Tutte tranne la Casa delle donne, come se in loro ci fosse un pericolo effettivo, come se davvero «la guerra alle donne» di cui parla il comunicato stampa fosse in effetti tangibile. Non è però una guerra, è invece l’arroganza del potere che si rivela una volta per tutte in violenza istituzionale ad aver giocato un ruolo cruciale in tutta questa vicenda. Una debolezza e inconsistenza politica che promette l’avvio di una stagione di ulteriori sgomberi e chiusure senza possibilità di preavviso né mediazione alcuna. E qui sta il punto importante; perché lunedì si dovrebbe riaprire il tavolo tecnico per discutere la documentazione richiesta alla Casa e poi ignorata nella mozione che ricostruisce tutto passo per passo tranne questi ultimi 7 mesi di incontri tra Giunta e direttivo di via della Lungara.

IN REALTÀ LA MOZIONE, per come è stata scritta e per ciò che ha taciuto, sembra essere stata preparata a prescindere, come a dire che la decisione di togliere a Roma la Casa sia stata presa già da tempo e che si aspettasse l’esito elettorale di marzo per capire se calcare la mano oppure no. Quello che emerge è dunque l’effettiva impossibilità di comunicazione sensata perché non c’è niente di peggio di chi non ha la forza di avere una presenza politica ma solo la tracotanza, in questo caso sostenuta da ignavia, davanti a una esperienza come quella di anni di libertà femminile. A un certo punto bisogna riconoscere l’assoluta impossibilità di interlocuzione, il femminismo insegna bene anche questo; sarà dunque il caso di continuare a fare quello che alle donne (come ai molti movimenti che in questi anni sono stati variamente vituperati e presi a pesci in faccia, non solo a Roma) riesce meglio: lottare, aprire conflitti con chi li merita, non farsi dettare l’agenda da terzi, occupare quando il caso. E capire che le «trattative» sono sempre state finte. E che il femminismo non è un pranzo di gala.

SE LO METTESSE IN TESTA anche Gemma Guerrini e quante e quanti credono di insegnare come si sta al mondo a chi il mondo ha avuto la forza di rovesciarlo anche per loro, e per chi arriverà dopo di loro. Sperando in qualcuno di più politicamente appassionante di Virginia Raggi che in tutto questo non ha proferito parola, impegnata come è a stabilire transumanze di pecore e capre da inviare in varie zone verdi della città per brucare l’erba in eccesso. Una preoccupazione che, dopo quella natalizia per Spelacchio, rimarrà fulgida nella memoria della Capitale.