Oggi «Zarafa» è un elegante esemplare di femmina imbalsamata che fa bella mostra di sé al Museo di storia naturale della città di La Rochelle, sulla costa atlantica. Regalata al re Carlo X di Francia dal pascià egiziano nel 1826 per «ingraziarsi» il sovrano e spingerlo a fornire aiuto ad Alessandria assediata dai turchi (ma l’esotico dono fallì nell’impresa diplomatica), quella giraffa visse per altri vent’anni ancora, fino al 1845, godendosi un successo di pubblico eccezionale.
Giunta dall’Africa e rinchiusa nelle strette gabbie dello storico Jardin des Plantes di Parigi, una delle ménagerie più antiche del mondo, lanciò una vera e propria mania. Quasi un secolo dopo, Zarafa rinasce a nuova vita e spopola fra piccoli e adulti grazie a un film di animazione, firmato in coppia da Rémi Bezançon e Jean-Christophe Lie. L’anno scorso, uscito sugli schermi francesi, ha incassato circa dieci milioni di euro, facendo crescere la «febbre maculata».
Ora tenta la fortuna in Italia – in sala dal 4 aprile per Good Films e Nexo Digital, in cento copie – regalando ai fan un pacchetto in più: la canzone di Vinicio Capossela (il cantautore ha prestato anche la sua voce al vecchio saggio, colui che narra le storie tra le radici di un grande baobab per i ragazzini del villaggio africano). «Ho sempre provato attrazione per gli animali, spalancano mondi geografici a cui sono affezionato. E poi, del film mi piaceva molto il pallone aerostatico». Zarafa infatti intraprende un lungo viaggio verso l’Europa in mongolfiera (non in nave, come avvenne nella realtà). «Bisognava dare un tocco di avventura al tragitto che altrimenti sarebbe stato noioso», dicono i registi. Spiegano poi che la figura di Carlo X, così caricaturale e per niente edificante, è stata cucita addosso al personaggio vero, quello che sta nei libri di storia. Non fu un buon regnante e nel film finisce per incarnare anche il saccheggio e i soprusi dell’Europa coloniale ai danni del continente africano. Rispetto alle altre animazioni, la scelta del 2D è stata fondamentale «per realizzare una storia che somigliasse a un libro del quale si potessero voltare le pagine». L’ispirazione? Lontana dalla giraffa nevrotica e metropolitana di Madagascar, la protagonista – insieme al suo amico bambino Maki – ricorda più i cugini del Libro della giungla mentre il viaggio verso Parigi ha delle assonanze con quello degli Aristogatti e condivide alcuni gli universi fantastici di Miyazaki. Realizzato con centocinquantamila disegni a mano da una troupe di duecentocinquanta persone in otto studi di animazione sparsi per il mondo, Zarafa vive sullo schermo anche grazie alle tele e incisioni dei pittori orientalisti a cui i due autori hanno guardato per tratteggiare l’animale che, sostengono, «apparve ai francesi come una specie di dinosauro, pur possedendo una dolcezza e eleganza che rinoceronti o elefanti non hanno».

La storia narrata, nonostante sia indirizzata soprattutto a un pubblico molto giovane, non risparmia temi forti: in primis lo schiavismo e il maltrattamento dei bambini, poi morti e uccisioni. «Non volevamo usare un linguaggio edulcorato e infantile perché i più piccoli desiderano essere trattati alla pari – interviene Jean Christophe Lie – Sono in grado di elaborare i momenti dolorosi della vita e spesso, al cinema, sono contenti di provare spavento».