Chiudiamo le pagine di I detective selvaggi di Roberto Bolaño e apriamo alla visione di Poesia senza fine di Alexandro Jodorowsky, favola animata da invenzioni sceniche, realismo onirico nutrito di vita vissuta, seguito di La danza della realtà.
Ritornare indietro con la memoria a raccontare la propria vita potrebbe sembrare un futile impegno: qui il divertimento, l’humour nero raccoglie come in uno spettacolo di marionette la «schiuma dei sogni» e mette in moto l’immaginazione, riferimenti colti, scherzi. La poesia come «atto» diventa cinema.

 

 

Alejandro ha lasciato il mondo dell’infanzia vissuta a Tacopilla dove tutto sembrava inventato ed era danza della realtà nel suo film del 2013. Arriva con la famiglia a Santiago in via Matucana proprio come era allora, grazie a gigantografie d’epoca. È un adolescente a un passo dal diventare adulto (lo diventerà in un solo cambio scena). La sua scelta è fatta, sarà la poesia, a dispetto del padre commerciante inflessibile che lo vorrebbe medico senza scivolamenti artistici (meglio un libro di biologia che uno di Garcia Lorca fatto volare in mezzo alla stanza).

 

 

Nella Santiago degli anni ’50 non si muovono solo monumenti come Neruda, ma anche pure divinità e ninfe e semidei, l’Olimpo sterminato della poesia cilena, facili da incontrare se si frequenta la casa delle sorelle Cereceda che accoglie gli artisti, se si attraversa la notte in bar funerei come l’Iris e quelli di «mala muerte».

 

 

Come ballerini truccati per essere meglio evidenziati compaiono le autentiche stelle del firmamento poetico cileno a cominciare da Stella Diaz Varín «La Colorina», la «regina della catastrofe», la rossa manesca che dalle fotografie ricorda Jeanne Moreau, una delle più grandi della generazione degli anni ’50, una sorta di Bukowski cilena che frantumò con pietre le finestre di Neruda quando fu acclamato dall’Accademia professore delle arti e al momento del colpo di stato esibì immagini di Che Guevara al balcone. E incrocia Nocanor Parra (che proprio in questi giorni compirà cento anni) autore eccelso di antipoemi preferito da Alejandro al dio supremo Neruda trasformato in uomo invisibile. E Enrique Lihn compagno di atti poetici insoliti, scandalo per gli accademici al limite del tracollo alcolico. Come deus ex machina di un momento magico è in scena lo stesso Adonis, il poeta siriano della «memoria del vento» del Libro delle metamorfosi mentre a Carolyn Carlson spetta il compito di indicare, danzando, il suo futuro attraverso la lettura dei tarocchi che tanta parte avrà in seguito nel corso della vita del regista. Come prima carta compare «el diablo», il diavolo che gli farà conoscere il suo lato oscuro e lo lancerà verso la creatività.

 

 

La giovinezza dell’artista in questo film è diventata teatro, teatrino, gesto, sogno e anche incubo e non ci sono scarti e cedimenti, se non l’estrema difficoltà di mettere insieme il film realizzato con il sistema del crowdfunding. Sembra in sottofondo di sentire i commenti gretti dei suoi parenti che contano soldi attorno al tavolo da gioco, scandalizzati al solo sentire che il loro nipote Alejandrito vorrebbe diventare uno squattrinato poeta.
Ma il viaggio di Alejandro è appena cominciato, la nave lo sta portando lontano, verso il Messico, verso il mondo del cinema, di una montagna sacra, di Parigi del movimento panico con Arrabal e Topor.