Ha fatto bene Beppe Navello, direttore del festival Teatro a Corte di Torino, a riservare la cover del libretto dell’edizione 2013 allo strepitoso gruppo inglese 1927: è la stata la loro prima volta in Italia e non la si dimenticherà.

Il genere? Un mix esplosivo tra musical, teatro di figura, cinema, teatro di movimento, uno di quegli spettacoli che ti aggancia alla prima scena e non ti molla se non agli applausi finali. La compagnia nasce nel 2005 con la regista Suzanne Andrade e l’illustratore Paul Barritt. Ai due si aggiungono poi la costumista e performer Esme Appleton e la musicista Lilian Henley. Partiti dai cabaret londinesi arrivano nel 2007 al Fringe Festival di Edinburgo dove il loro Beetween the Devil and the Deep Blue Sea li proietta in mezzo mondo, da New York alla Nuova Zelanda. Di due anni fa è The Animals and Children took to the streets, presentato all’Astra per il festival Teatro a Corte la scorsa settimana e in scena da martedì al 3 agosto al festival di Salisburgo. Su di loro è stato scritto: «Chiunque è interessato al teatro, dovrebbe vedere questa compagnia» (The Observer); «un pezzo sbalorditivo» (The Guardian); «impeccabile coreografia, tempistica perfetta, magnifica presenza scenica» (Time Out). E così via dal New York Times al Sydney Morning Herald, dal New Yorker a The Scotsman.
La storia di The Animals and Children took to the streets si ambienta in una scena a tre facciate, una centrale e frontale e due oblique laterali: come quegli oggetti di cartoncino per bambini che si aprono in mezzo rivelando un mondo nascosto fatto di colori e figurine.

I personaggi nonché le ambientazioni mixano Dickens a Kafka con strizzate d’occhio a Fritz Lang e a Buster Keaton. Il racconto ha luogo nei sobborghi di Londra, alle residenze Bayou, un palazzo fatiscente regno di ratti e bambini terribili, ma anche di famiglie grottesche come quella della giovane rivoluzionaria Zelda (legge Marx e vorrebbe una più giusta ridistribuzione degli averi nel mondo) e di sua madre, la cinica signora E. Villykar che gestisce un tremendo negozio di seconda mano.
La città è preoccupata perché «gli animali e i bambini sono scesi in piazza per protestare»…

Bisognerà farli smettere, infestano i parchi pubblici frequentati dai ricchi, rubano, danno fastidio. A Bayou arriva però una deliziosa figura femminile: Agnes Eaves, in compagnia della figlioletta, Eavie Eaves. La bimba non è una performer in carne ed ossa ma solo una splendida figurina colorata con cappellino, proiettata sullo sfondo. Si muove con la mamma e in men che non si dica tra le due non c’è più differenza per lo spettatore. Magico. Agnes è convinta che per recuperare i bambini di Bayou basti un po’ d’amore e di collage: non sarà così. La poveretta rischierà di perdere la figlia rapita come tutti i bimbi di Bayou da venditori notturni di gelati che su ordine del sindaco sedano i piccoli monelli con caramelle chimiche spappola-cervello. Una storia alla Tim Burton che piacerebbe a Johnny Depp.
, una mistura stupenda tra desolata tristezza e ironia (il riferimento a Keaton è innegabile), sorprese visive con le proiezioni animate che cambiano sfondi, abiti, contesti ai personaggi dal vivo. I performer sono solo tre, ma sembrano tantissimi. Hanno sempre il volto bianco, alcuni cantano, altri sono preregistrati e stanno zitti come il romantico portiere che aspetta sempre di andarsene da Bayou. Mangia Kit Kat, spazza e rispazza, evita il razzista Wayne e i suoi terribili figlioli, si innamora della dolce Agnes tanto da salvarle la figlia e spendere per la missione tutto ciò che ha messo via negli anni. Ah l’amore.[do action=”citazione”]La vicenda è raccontata per immagini come in un film muto, con la bizzarra pianista e cantante dal vivo che appare in abito d’oro e volto bianco da una finestrella sulla parete di destra. Canzoni alla vaudeville, che ricordano i Tiger Lillies[/do]

Naturalmente quello che fa la differenza è, per dirla alla Eisenstein, la maestria del montaggio. The Animals and Children took to the streets ha tempi teatrali perfetti, ideazione del gesto dal vivo e delle dinamiche di movimento delle figure animate talmente ben calibrata che come scrive Time Out è coreografia. La musica, i testi, le canzoni hanno un ritmo calzante che si sposa magnificamente alle visioni in trasformazione. Bellissime sono la corsa del portiere per le strade di Londra, con il corpicino, che è proiezione animata, sul quale sbuca la testa vera del performer; il volto di Agnes che appare sopra la proiezione del suo letto; i piani del condominio che scorrono in verticale con gli scarafaggi animati in fuga nelle tubature. Applausi più che meritati per quella sensazione, abbastanza rara, di avere di fronte qualcosa che strega per l’originalità dell’unione tra i media impiegati: un meccanismo creativo precisissimo che si rivela non come artificio ma come meravigliosa nuova natura.