Dopo aver aperto l’edizione (virtuale) del Sundance 2022, When You Finish Saving the World, porta un tocco di star power all’apertura della Semaine de la Critique. L’esordio alla regia di Jesse Eisenberg comunica in parte l’energia claustrofobicamente compressa/repressa di molti dei personaggi che l’attore/autore ha interpretato nell’arco della sua carriera. Ma, laddove quell’energia, unita a una fisicità spigolosamente irrequieta, portano un’aria di geniale, ansiosa, imprevedibilità al suo Mark Zuckenberg in The Social Network, al giornalista mandato a intervistare David Foster Wallace in The End of the Tour o al prestigidatruffatore di Now You See Me, in quest’adattamento da un dramma radiofonico che Eisenberg aveva scritto nel 2020 quel senso di controllo quasi esasperato si traduce in un film soffocante e piatto, come un’equazione troppo facile. Imbruttita e ingrigita, la luminosa Julianne Moore è mortificata nel ruolo di una madre Midwestern che non capisce il figlio rock star sui social media perché è inaridita dalla sofferenza che vede tutti i giorni nel rifugio per donne abusate che ha fondato.

ASSORTO IN SÉ STESSO e nella coltivazione del crescente esercito di ragazzine fan che seguono le sue performance online, Ziggy (il figlio, interpretato da Fin Wolfhard), ha appeso fuori dalla sua camera da letto una di quelle luci rosse lampeggianti che stanno fuori dagli studi di registrazione per indicare quando c’è una ripresa in corso – divieto d’accesso. I due, imprigionati nella reciproca incomprensione uno dell’altro, non migliorano – anzi – quando Evelyn trasferisce le ambizioni frustrate che aveva su Ziggy sul figlio di una donna che cerca aiuto nel suo rifugio; mentre Ziggy abbandona lo schermo per un attimo invaghendosi di una compagna poetessa che scrive ballate sull’occupazione coloniale delle Isole Marshall.

«SONO CIRCONDATO da narcisisti», sbotta un giorno il marito e padre di famiglia (Jay O. Sanders), e non si può dargli torto. Eisenberg, un newyorkese di Queens, che oltre all’esperienza di attore, coltiva da anni quella di drammaturgo e che ha scritto anche dei racconti brevi per il «New Yorker», si rifà chiaramente al modello intellettuale di Woody Allen. Un modello con cui si sposerebbe bene anche la combinazione di satira dei liberal benpensanti e satura dell’alienità dell’universo giovanile che stanno al cuore del suo film. Ma When You Finish Saving the World è un film oppressivo, sentenzioso, troppo scritto. E una scelta non proprio ispirata per una sezione dalla natura esplorativa come la Semaine.

Lo porta a Cannes la compagnia newyorkese A 24 che ha al festival un numero record di film – Showing Up di Kelly Reichardt (in concorso), Men di Alex Garland e God’s Creature di Anna Rose Holmes e Saela Davis (Quinzaine), insieme al documentario di Ethan Coen Jerry Lee Lewis: Trouble in Mind.