Era nata, pochi mesi fa, una bella idea, per l’Europa ed anche per noi italiani. Ma è durata poco e pian piano la stiamo demolendo. Era nata nella fase alta del Covid, della paura sul futuro dell’economia e delle conseguenze sulle società degli Stati europei.

E così la presidente Ursula von der Leyen aveva prospettato un’Europa che finalmente si comportava da Europa, si assumeva la responsabilità di fare un debito comune per finanziare una grande operazione di emergenza (interventi di sostegno per gli effetti del Covid) e che guardava al futuro con tre obiettivi precisi: riconversione ecologica, digitalizzazione, sostenibilità sociale.

Sembrava il libro dei sogni. Non solo per l’idea e la quantità di risorse, ma anche per il metodo. Si tentava, così, per la prima volta di impostare una metodologia politica: partire da obiettivi strategici, stanziare risorse e delineare progetti precisi, con modalità e tempi definiti. Quindi correlare rigidamente finanziamenti ed obiettivi e produrre, così, una svolta nelle politiche finora seguite. Troppo bello per essere vero.

Ed in questo scenario, il presidente del Parlamento, Sassoli, trovava il coraggio di spingersi oltre proponendo la neutralizzazione dei debiti a carico dell’Europa. Ma quel sogno è durato poco. E proprio da quei paesi del blocco ex sovietico, inglobati nell’Europa per attirarli nel blocco occidentale con promesse di benefici economici, venne il primo snaturamento. E così si usò il diritto di veto per contrattare benefici e non rispettare i vincoli di civiltà che l’appartenenza all’Europa impone: un’Europa da usare sfruttando la propria posizione geopolitica, non una nuova Europa da costruire.

E dopo questo segue l’Italia. La funzione che sta svolgendo in questi giorni Italia Viva va, di fatto, nella stessa direzione e non a caso è vista con favore dai populismi nostrani: trasformare l’operazione politico strategica del New Generation Eu in una contrattazione tutta interna, legata ad interessi di gruppi sociali ed economici, a logiche di spartizione partitica di vecchio stampo, facendo, così, perdere di vista gli obiettivi strategici dei fondi europei.

Ciò riguarda in primo luogo le modalità di gestione di questi fondi per i quali l’Europa prevede un governo diverso dalla gestione tradizionale degli investimenti proprio per garantire tempestività e finalità. L’attacco alla bozza di governo, non definita nel rapporto con la pubblica amministrazione laddove prefigurava una gestione manageriale, tuttavia obbedendo ad una indicazione europea, in realtà mira a mettere sotto controllo dei partiti e dei poteri l’utilizzo di quei Fondi.

Con le ben 61 proposte e propostine, si rende impossibile la relazione tra investimenti e finalità facendo rientrare nel dibattito politico una metodologia che sembrava accantonata: prescindere dagli obiettivi strategici trasformando l’operazione New Generation in una sommatoria di investimenti di stampo tradizionale, parcellizzati e volti a soddisfare particolari categorie economiche e sociali di riferimento.

Se così dovesse essere significherebbe snaturare la novità e la logica del progetto europeo, con due conseguenze. Non si coglie l’occasione che abbiamo di correlare finalmente stanziamenti ad obiettivi in modo da rinnovare effettivamente il funzionamento dell’amministrazione pubblica e della spesa pubblica introducendo il metodo della misurazione e degli obiettivi attesi. E si corre il rischio di deteriorare l’immagine dell’Italia avallando la vulgata degli spendaccioni del carpe diem e mettendo a rischio anche la possibilità di usufruire veramente di quei finanziamenti. Un grosso danno.

Ma qui c’è un problema per la sinistra. Questa è una fase in cui la sinistra dovrebbe assumere fino in fondo ed esplicitamente l’obiettivo di una visione europeista nel senso migliore mettendo al centro della discussione il perseguimento dell’obiettivo della piena, nuova e buona occupazione.

Perché nessuno parla della necessità di fare in modo che le straordinarie risorse che si dovrebbero investire debbano produrre occupazione nei settori che sono i pilastri della svolta Europea – ecologia, digitalizzazione, sostenibilità sociale – con tutto quello che questo implica in termini di formazione professionale e scolastica e nelle modalità dell’istruzione? E nelle forme e modalità del lavoro?

Oggi la sinistra dovrebbe porsi più avanti rispetto all’Europa proponendo spunti per la sua agenda. Non è per caso che invece di chiamare il nuovo progetto New Generation si continui a parlare di Recovery Plan. Più che una svista si tratta di una visione arretrata e vecchia che continua a pesare anche nella sinistra. Ma così, senza mobilitare le grandi forze sociali e soprattutto giovanili in un progetto ambizioso e di futuro come si pensa di contrastare la politica del giorno per giorno, del tweet e retweet?