C’è chi assicura che Silvio il Candidato si sia imbufalito per l’incontro tra Giorgia e Letizia, temendo lo sgambetto. C’è chi smentisce tassativa, la medesima Meloni: «Ho parlato con Berlusconi. Non è affatto irritato». C’è chi si schermisce, precisamente Moratti: «Il candidato è Berlusconi». C’è chi, come Salvini, promette di aprire bocca solo a gennaio, ma già che c’è elogia donna Letiza: «Ha fatto bene a dire che l’unico candidato della destra è Berlusconi». C’è Conte che si sgola a ripetere che «non è il momento di fare nomi», anche se in attesa dell’assemblea del Pd fissata per il 13 gennaio di Colle lui, Letta e Speranza hanno già discusso ieri in un vertice nel quale hanno convenuto che «il presidente deve essere terzo nei confronti della politica e della magistratura».

I LEADER DELLA SINISTRA hanno discusso ieri di uno schema generale, non ancora di nomi. Il fatto è che se passasse un candidato di destra, cioè eletto con i voti della destra e di una parte del centro, la sorte della maggioranza e del governo sarebbe segnata. La formula di Letta, «No a un presidente divisivo», questo significa. Del resto se fosse eletto un capo dello Stato con i voti della sinistra e del centro l’esito sarebbe identico. Si tratta dunque di decidere se imbarcarsi in un braccio di ferro nel quale a essere schiacciata sarebbe comunque la legislatura oppure convergere su un candidato comune. Per il Pd non ci sono dubbi né sul cosa convenga fare né su chi debba essere quel candidato di unità nazionale: uno ce n’è e si chiama Draghi, Omicron o non Omicron.

Ma il premier è davvero il solo possibile candidato «al di sopra delle parti»? Non proprio. C’è sempre la risorsa istituzionale, e a indicarla è proprio il king maker per eccellenza, Matteo Renzi. Suggerisce di valutare anche i presidenti o gli ex presidenti di Camera o Senato. Ce ne sono parecchi in circolazione, e i nomi di alcuni di loro circolano già da un pezzo: Casini, Amato, Pera, Violante tra gli altri. Rotondi, l’ultimo dei democristiani, è più preciso e tendenzioso. Fa notare che «Moratti sarebbe una presidente della destra ma Casellati no. Come presidente del Senato, va considerata al di sopra delle parti». Insomma una presidente di destra in tutto tranne che nel nome.

CI SONO PERÒ UN PAIO di problemi non superabili senza la disponibilità dei due nomi ai quali sono collegati e che sono già da un bel po’ i protagonisti di questa specie di lunga pre-partita: Draghi e Berlusconi. Se il premier farà capire apertamente di volere la presidenza, invece di limitarsi a non allontanare il dolce calice proclamandosi incandidabile, bisognerà pensarci molto bene prima di silurarlo con un ex presidente della Camera o qualche ex giudice costituzionale. Perché la bocciatura di Draghi avrebbe ripercussioni profondissime a diversi livelli: sulla credibilità del Paese nei mercati e all’estero e anche, probabilmente, sulla tenuta del governo e la sopravvivenza della legislatura.

BERLUSCONI È IN REALTÀ il vero ostacolo sulla strada di qualunque «candidato di tutti o quasi», incluso lo stesso Draghi. Il Cavaliere non ha in mente il ruolo di king maker. Non è nella sua natura, non corrisponde all’immagine che mantiene ben salda di se stesso. Vuole la corona. È vero che per Draghi e solo per Draghi potrebbe considerare il passo indietro, però molto malvolentieri, tanto da non permettere oggi alcuna certezza. Basti dire che tra le ipotesi fatte pervenire dal quartier generale azzurro al Nazareno per vie traverse c’è quella, partorita da Gianni Letta, per cui il Signore di Arcore ci proverebbe nelle prime votazioni, con l’astensione della sinistra, salvo poi accettare di convergere su Draghi se sconfitto.

DIFFICILE IMMAGINARE un percorso più tortuoso e meno efficace. È ovvio che, per imporsi come figura di garanzia in Italia e all’estero, Draghi dovrebbe essere eletto subito e con larghissima maggioranza. Tutto sta a convincere Berlusconi e Salvini, che ormai vede l’elezione di Draghi come un punto segnato dalla rivale che lo incalza dalla tolda di FdI. Comunque ormai la giostra è partita: oggi nella conferenza stampa di fine anno qualcosa Draghi potrebbe far capire, domani il tema sarà al centro del vertice della destra. D’ora in poi quella giostra girerà sempre più vorticosamente.