E’ presto per dire se si tratta di crepe o solo di tatticismi diplomatici, ma di certo ieri, per la prima volta, nel fronteggiamento muro contro muro che contrappone l’Italia all’Europa c’è stato un certo ammorbidimento dei toni. E’ l’effetto spread, che martella e ieri ha tenuto col fiato sospeso tutto il giorno, arroccato per ore a quota 315 per poi scendere, pur se di poco, sotto la soglia psicologica dei 300 punti. Ma forse è ancor di più l’effetto banche, perché quel differenziale già mette a dura prova la resistenza degli istituti finanziari italiani e basterebbe un soffio in più per costringerle alla ricapitalizzazione, con effetti devastanti e a tutto campo.

CILIEGINA SULLA TORTA al veleno, la bocciatura da parte dell’Ufficio parlamentare bilancio, longa manus della Ue nel Parlamento italiano. Arriva poco prima che a palazzo Chigi cominci l’ennesimo vertice sulla manovra e il pollice è decisamente verso. «Impossibile validare le previsioni macroeconomiche», «Troppo ottimistiche le stime sulla crescita», «Deviazioni significative delle regole del saldo strutturale e della spesa», rischio forte che Bruxelles giudichi «particolarmente grave il mancato rispetto delle regole del Patto». Non è la prima volta che l’Ubp boccia un Def, era già successo nel 2016 con Renzi e Padoan, ma in un clima ben diverso. E stavolta è l’annuncio del no rigido di Bruxelles.

L’ASSEDIO SI STRINGE ed è possibile che una parte del governo consideri l’eventualità di rimettere mano alla manovra. Fatto sta che Paolo Savona dice chiaramente che «se ci sfugge lo spread la manovra deve cambiare». Il professore si dice tuttavia tranquillo: «Non arriverà a 400 punti perché il mercato non ha interesse nella crisi». Quella di Savona non è una voce isolata. Il ministro Tria difende a spada tratta la manovra che gli è stata imposta e lo fa con tanto nervosismo da arrivare quasi a litigare a microfono aperto – prima che il presidente della Bilancio Borghi lo spenga – con l’amico Brunetta. Tria si professa contrario al rigore. Sottolinea che lo spread così alto «non è giustificato rispetto ai fondamentali della nostra economia». Ma anche lui ammette che se lo spread arriva a 500 punti qualcosa bisognerà cambiare. C’è anche il viceministro leghista Garavaglia, convinto che «di qui a Natale la manovra cambierà», e ci sono gli inviti pressanti dello stesso Tria e del premier Conte ad «abbassare i toni» nelle relazioni con l’Europa.

Stavolta la paura la si avverte a pelle ed è moltiplicata dall’accerchiamento che non viene solo dall’esterno, con l’Fmi, ma anche dall’interno, da Bankitalia, dalla Corte dei Conti, dall’Ubp. E’ una bocciatura secca e con obiettivo preciso: non il reddito di cittadinanza, che un po’ tutti sembrano disposti a digerire, ma l’intervento sulla Fornero. E’ quella la bestia nera, il capitolo inaccettabile per la Bce come per Bankitalia. Il Fondo monetario in realtà non è drastico. Taglia sì le previsioni di crescita del Pil, portandole all’1,2%, tre decimali in meno, ma rispetto all’aprile scorso, in una temperie tutta diversa, non rispetto a luglio e nel quadro di una arretramento dell’economia mondiale. Sulla Fornero l’Fmi è invece tassativo: «Le passate riforme pensionistiche e del mercato del lavoro andrebbero preservate».

IDENTICO PARERE, con toni rafforzati, arriva da Bankitalia, nell’audizione di fronte alla commissione Bilancio del vicedirettore Signorini. La Fornero e le altre riforme degli ultimi 20 anni «hanno significativamente migliorato sia la sostenibilità che l’equità intergenerazionale del sistema pensionistico. E’ fondamentale non tornare indietro». Signorini Demolisce l’intero impianto della manovra. Ma il vero segnale d’allarme riguarda l’effetto dello spread sulle banche: «Potrebbe ridurne la capacità di offrire credito all’economia».

A fronte di questa offensiva, lontana dall’essersi completamente dispiegata, qualche dubbio non poteva non spuntare. Ma la condizione per calmare le acque, il passo indietro sulla Fornero, è troppo salata perché il governo possa accettarla. «Ascoltiamo tutti ma gli italiani ci chiedono di tirare diritto», chiude ogni spiraglio in serata Salvini. «Cambiare la manovra sarebbe tradire i cittadini», conferma Di Maio. La carta su cui puntano è l’acquisto a condizioni agevolate dei Btp da parte dei cittadini italiani. Si chiameranno Cir, Conti individuali di risparmio, e sarebbero la via gialloverde all’autarchia finanziaria. Anche Renzi, peraltro, aveva fatto ricorso a un simile metodo ma che sia sufficiente, in queste condizioni, davvero non è facile. Alla fine la risorsa principale resta la convinzione che nessuno rischierà un terremoto finanziario mondiale per punire l’Italia per uno sforamento di pochi decimali.