Il premier giordano Abdullah Ensour ieri ha ribadito la validità della scelta fatta dal regno hashemita di partecipare alla campagna aerea della Coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti.

«Il crimine commesso (l’esecuzione del pilota Muaz al Kassasbeh da parte dell’Isis, ndr) dice con chiarezza che la Giordania ha avuto ragione a prendere parte alla guerra contro il terrorismo e le organizzazioni terroristiche, perché è la nostra guerra, la guerra degli arabi e dei musulmani prima ancora che dell’Occidente», ha proclamato Ensour. Poco prima erano stati impiccati i due “terroristi” Sajeda al Rishawi e Ziad al Karbouli per assecondare il desiderio di vendetta della famiglia del pilota giustiziato e di molti giordani.

Il governo e soprattutto la monarchia provano a cavalcare l’onda dello sdegno popolare, per raccogliere consensi. Nei mesi scorsi molti dei sudditi di re Abdallah avevano criticato la partecipazione ai raid aerei. I giordani non approvano le stragi dell’Isis ma, allo stesso tempo, non guardano con favore ad operazioni militari, guidate dagli Stati Uniti, che prendono di mira i musulmani sunniti. Vorrebbero piuttosto che la monarchia seguisse l’esempio degli Emirati che hanno interrotto, senza annunciarlo, gli attacchi aerei contro i jihadisti.

Quali saranno gli sviluppi nel Paese una volta che si sarà esaurito lo sdegno per l’esecuzione del pilota, alla luce dell’intenzione proclamata dalle autorità di proseguire i raid aerei assieme al resto della Coalizione? «Passati lo sdegno e il desiderio di rappresaglia, l’accaduto non potrà che accrescere la polarizzazione dell’opinione pubblica giordana», prevede l’analista politico Mouin Rabbani, «accanto a quelli che approveranno un maggiore impegno militare contro l’Isis, non mancheranno di far sentire la loro voce coloro che pensano che quello in corso non sia altro che un nuovo conflitto americano contro arabi e musulmani e che, pertanto, la Giordania dovrebbe abbandonare la Coalizione». Rabbani non esclude, sul lungo periodo, una crescita delle simpatie verso lo stesso Stato Islamico. Se da un lato l’islamismo in Giordania fa capo soprattutto ai Fratelli Musulmani, movimento politico spesso preso di mira dai servizi di sicurezza, dall’altro il jihadismo salafita, al quale si ispira l’Isis, ha diverse roccaforti nel Paese. Senza dimenticare che il padre fondatore, una dozzina di anni fa, dello Stato Islamico in Iraq, Abu Musab al Zarqawi (ucciso nove anni fa da un drone Usa), proveniva dalla città giordana (con campo profughi palestinese) di Zarqa e che non sono pochi i giordani che si sono uniti all’Isis e ora combattono in Siria e Iraq contro i governi “infedeli” di Damasco e di Baghdad.

Jihadisti che in prevalenza partono dalla città di Maan, storico punto di riferimento del radicalismo religioso e da sempre spina nel fianco della monarchia hashemita. Secondo gli esperti, i problemi economici che da tempo affronta la Giordania stanno accrescendo il sostegno per l’Isis.

Nel Califfato proclamato da Abu Bakr al Baghdadi, tanti giovani giordani residenti a Maan, vedono la soluzione a problemi causati dalla linea filo occidentale adottata dalla dinastia hashemita. Il sindaco di Maan, Majed al-Sharari, è preoccupato per il futuro della sua città dove da tempo, su alcuni edifici, sventolano le bandiere nere del Califfato di al Baghdadi. «La partecipazione giordana ai raid aerei e i problemi economici sono un concentrato di tensioni, la catastrofe esploderà molto presto, nel 2015», ha avvertito il sindaco al-Sharari.

Si teme una nuova rivolta simile a quella divampata a Maan una dozzina di anni fa contro l’aumento del prezzo del pane. Una sommossa che diede l’opportunità a formazioni religiose radicali di innescare violente proteste contro la monarchia. Secondo il ministro dell’informazione Mohammad al-Momani, invece la pericolosità dell’Isis in Giordania sarebbe limitata. «Abbiamo pochi giordani che esprimono la loro simpatia per il terrorismo, le organizzazioni terroristiche e l’ideologia fondamentalista, ma pensiamo che questo fenomeno sia sotto controllo», spiega al Momani.

Quali saranno gli sviluppi futuri nessuno può dirlo. Di sicuro Amman non cambierà politica nei confronti di Damasco nonostante l’appello lanciato dal ministero degli esteri siriano per unire le forze contro lo Stato Islamico e al Nusra (al Qaeda). Secondo l’analista Maher Abu Tair, del quotidiano al Dostour di Amman, la Giordania (che già offre appoggio logistico ai programmi statunitensi di addestramento dei “ribelli” siriani e lascia passare aiuti, pare anche armi, per le formazioni anti Assad) si preparerebbe a dare maggior sostegno militare ai miliziani islamisti impegnati nel sud della Siria.