Sono passati quasi cinquant’anni dalla pubblicazione (1972) del famoso Rapporto del MIT (Massachusetts Institute of Technology di Boston), commissionato dal Club di Roma (guidato da Aurelio Peccei), The limits to Growth. Quel Rapporto fece il giro del mondo e io ricordo ancora Marcello Cini che si sbracciava alla lavagna per illustrarlo in tutte le Facoltà universitarie. Il titolo originario era in realtà I limiti dello sviluppo e fu tradotto invece in italiano con I limiti della crescita.

L’errore di traduzione non fu casuale; leggenda vuole che i due termini, Crescita e Sviluppo, fossero quasi sinonimi in quegli anni (erano ancora i trenta gloriosi anni dello sviluppo) quando il benessere economico sembrava non avesse mai fine. E sono passati circa trent’anni da quando il prof. Monti svolse una famosa lezione di Economia presso la Sapienza. In un’aula affollata di studenti, uno di loro si alzò per fargli una domanda: “Professore e l’ambiente dove sta?”. Monti si girò verso la lavagna, guardò le formule che aveva appena scritto e poi si rivolse allo studente dicendo: Non c’è; l’ambiente non è considerato dalla disciplina economica. Almeno fu una risposta onesta.

Ora le condizioni sono cambiate e né la crescita né lo sviluppo sembrano più assicurare il benessere delle persone. Chi si ricorda ancora del Mose di Venezia?

Quella mostruosa creatura avrebbe dovuto salvare la città dal fenomeno dell’acqua alta. Ricordo che a Venezia se ne discusse molto e molti a sinistra la consideravano assolutamente necessaria contro chi invece sosteneva che quella grande opera si sarebbe insabbiata, non soltanto metaforicamente. Bisognava piuttosto riprendere la manutenzione dei canali, come avveniva in passato e lasciar perdere quel faraonico progetto. I suoi detrattori vennero considerati i nemici della città, coloro che non avevano cura delle sorti di quel luogo unico nel mondo. Sono stati spesi miliardi e altri si continuano a spendere senza che la città ne abbia tratto alcun beneficio. Bisogna dare conto a Massimo Cacciari che fu sempre scettico di quel progetto e che, recentemente in una trasmissione televisiva, ha detto che prima o poi si sarebbe dovuto riflettere su quell’ideologia nefasta delle Grandi Opere. Ma le Grandi Opere le vogliono tutti, destra e sinistra, Europa in testa anche se quasi nessuno (al di fuori di fanatici sostenitori) è convinto della loro utilità, perfino tra gli stessi sostenitori.

Tutti parlano di ambiente e tutti parlano di sviluppo sostenibile. Argomenti che vengono appena accennati in occasione dei grandi disastri per poi essere subito dimenticati nelle agende dei politici di qualsiasi colore, destra e sinistra. La salvaguardia dell’ambiente non paga, tutto continua come prima, malgrado, come si ostina ad affermare Guido Viale, sia sconcertante il quadro che ciascuno di noi ha di fronte, l’apocalisse climatica. Ma noi, ci dicono i media, siamo invece preoccupati da un altro clima, quello di presunta violenza sollevato ad arte dal ministro della paura; siamo preoccupati dell’invasione” dei migranti che arrivano dall’Africa, siamo preoccupati del lavoro che ci viene “rubato”, dei furti in casa e delle rapine (contro ogni evidenza statistica). Così il partito della paura cresce e fa sempre più proseliti mentre la sinistra, che con questi problemi non ha mai voluto fare i conti, lancia inutili grida nel deserto contro una destra dilagante.

Viviamo sull’orlo di un baratro, di una gigantesca faglia che si sta allargando sempre di più. Migliaia di persone, o forse interi popoli, precipitano inghiottiti ogni giorno dalla grande fenditura senza che vengano compianti o se ne conosca il nome, mentre l’opulento Occidente si avvita sui decimali della mancata crescita. Ma ora anche nell’Occidente si aprono delle faglie minori dove precipitano poveri sempre più poveri, emarginati, malati, abbandonati dallo sviluppo, dal benessere che riguarda solo pochi eletti. E il papa, sempre più solo e inascoltato, tuona contro l’ipocrita Europa che, da un lato, predica la pace e dall’altro vende armi alle fazioni in guerra, spesso alle stesse due fazioni in lotta tra loro. È lo scenario di un mondo capovolto, di un gigantesco “fuori squadra” dove l’angelo della storia, trascinato dallo sviluppo, vede ai suoi piedi solo le macerie di un mondo che si avvia verso l’estinzione.

Se una sinistra dovrà ancora esserci e se vuole essere al passo delle sfide planetarie, non può che essere una sinistra che guarda ai mutamenti climatici come alla principale causa del declino della civiltà planetaria e abbia come obiettivo la riconversione ecologica dell’economia, dei modelli di vita, dei consumi, della sobrietà, della convivenza pacifica, della difesa degli oppressi.