«Se Tsipras dovesse vincere e realizzare le sue promesse, la politica di salvataggio fondata sul principio ‘soldi in cambio di riforme’ perderebbe ogni credibilità». A suonare l’allarme è l’autorevole quotidiano liberal-conservatore Frankfurter Allgemeine, «portavoce» dell’establishment politico-economico della Germania, in un editoriale apparso ieri.

Subito dopo la notizia del voto anticipato, il ministro delle finanze democristiano (Cdu) Wolfgang Schäuble aveva ammonito: «Le riforme dure portano i loro frutti e sono senza alternative. Se la Grecia imbocca un’altra strada, le cose si fanno difficili». I socialdemocratici (Spd) non la pensano diversamente: «È nell’interesse della Grecia che le riforme proseguano», ha affermato il responsabile economico Carsten Schneider.

La grosse koalition al governo nella Repubblica federale è unita: Syriza è un pericolo. «Una rinegoziazione del debito è assolutamente fuori discussione», mette le mani avanti Norbert Barthle, uno dei dirigenti Cdu che dettano la politica economica del partito.

Due le voci tedesche fuori dal coro, ma di segno opposto: la Linke, che denuncia il fallimento dell’austerità e vede nelle elezioni greche «la possibilità di fare rinascere l’ideale europeista», e gli eurofobi di Alternative für Deutschland (AfD), che propongono l’uscita del Paese ellenico dalla moneta unica. Un’ipotesi che alcuni influenti economisti tedeschi mainstream cominciano a prendere in considerazione non più come un dramma, ma come una possibilità scevra da conseguenze dannose per l’eurozona: un ragionamento insidioso, in realtà, perché finalizzato a diminuire gli spazi di negoziato che avrebbe un eventuale governo di Syriza. «L’Europa del 2015 è più forte di quella del 2010, e quindi può permettersi di perdere la Grecia: Tsipras deve capire che non ha margini di ‘ricatto’, perché possiamo anche fare a meno di loro», è il succo di questa posizione.

Dall’Eurotower nessuna dichiarazione ufficiale, naturalmente. Ma la Banca centrale europea è uno degli attori-chiave della vicenda, essendo parte della troika che gestisce il «piano di salvataggio» insieme al Fondo monetario e alla Commissione europea: appare quindi carico di significato il fatto che l’istituto di Francoforte terrà il suo prossimo consiglio esecutivo il prossimo 22 gennaio, tre giorni prima del voto greco. Il governatore Mario Draghi potrebbe usare quell’occasione per lanciare un messaggio «di pace» agli elettori, possibilmente utile a rafforzare lo schieramento governativo uscente: promettendo, ad esempio, acquisti di titoli di stato (osteggiati però dai tedeschi) a fronte di scelte politiche «ragionevoli». E c’è da attendersi che si moltiplicheranno anche gli interventi da Bruxelles, dopo le prime, prudenti, dichiarazioni rese l’altro ieri dal commissario agli affari monetari Pierre Moscovici.

Una capitale dove si guarda con particolare attenzione alla Grecia è Madrid. Nel 2015 si voterà anche in Spagna, e la nuova formazione anti-austerity Podemos gioca un ruolo simile a quello di Syriza: fonte di speranza per chi sta pagando i costi della crisi, incubo per il governo in carica. E mentre Pablo Iglesias esprime pubblicamente il proprio sostegno a Tsipras, dal partito del premier Mariano Rajoy fanno sapere, attraverso il responsabile esteri, che «la vittoria di Syriza porterà all’instabilità e alla distruzione» del Paese ellenico. Un’eventualità drammatica, ma che avrebbe – a loro dire – un risvolto positivo: «Gli spagnoli vedrebbero in anticipo le conseguenze dell’eventuale successo di Podemos».