Vincitore della prima edizione del «Premio Giorgio Agosti», Quale antifascismo? Storia di Giustizia e Libertà (Carocci, pp. 308, euro 27) di Marco Bresciani rappresenta un contributo davvero importante alla storia dell’antifascismo in Italia. Come si ricorda nell’introduzione, la storia di «Giustizia e Libertà» è stata a lungo sacrificata nel dibattito pubblico dell’Italia repubblicana. Esclusa da una storiografia che si concentrava sui partiti dominanti, è stata oggetto dei primi studi di rilievo dalla fine degli anni Sessanta e all’interno di un dibattito che intrecciava le vicende di GL e del Partito d’Azione (che del gruppo di Rosselli aveva raccolto in parte l’eredità tra il 1942 e il 1947) con il problema dell’interpretazione storica del fascismo.

Eppure, GL fu un gruppo tutt’altro che omogeneo e compatto, al quale contribuirono almeno tre generazioni con tutta una serie di scontri interni che inevitabilmente ne seguirono. La fondazione risale all’ottobre 1929 a Parigi, presso l’abitazione di Alberto Tarchiani e per iniziativa di Carlo Rosselli di Gaetano Salvemini e di un piccolo gruppo di fuoriusciti. Il libro ricostruisce con dovizia di fonti la geografia storica del movimento disegnata dalle politiche repressive del regime. Dopo la caduta del gruppo milanese di Bauer e Rossi, la pattuglia torinese di Leone Ginzburg e di Aldo Garosci, diventa il principale polo organizzativo di GL in Italia fino all’ondata di arresti tra il 1932 e il 1935. I cospiratori operanti nella penisola privilegiano un’azione culturale sul lungo periodo. Nel suo complesso, GL si propone come un’organizzazione segreta, che agisce soprattutto a livello di contro-propaganda e rifiuta la forma partito, pur essendo Rosselli affascinato dall’idea leninista dell’avanguardia rivoluzionaria.

SONO NOTE LE VICENDE che porteranno nel 1936 i giellisti a combattere in Catalogna, lo sono meno invece le tormentate sorti del movimento dopo l’assassinio dei Rosselli: la fase finale della parabola di GL che Bresciani ripercorre fino ai mesi successivi all’invasione della Francia nel 1940 e alla «diaspora» dei dirigenti. Tornando al profilo culturale, l’elemento centrale di partenza viene identificato nell’«antigiolittismo» come comune denominatore (negativo) che aveva scavato un solco tra classe dirigente liberale e classe intellettuale; una faglia che il regime e i suoi oppositori si propongono, in modi diversi, di ricomporre. Comune è anche la convinzione di attraversare una «crisi di civiltà» rispetto alla quale le soluzioni delle due parti in causa risultano agli occhi dello storico «indissolubilmente intrecciate, senza essere affatto confuse».

In altre parole, Bresciani mette in luce come la scelta antifascista originaria non possa essere considerata scontata nelle biografie prese in esame. L’altro lato della medaglia è il problema dell’imparare dal nemico: un punto qualificante della cultura giellista che l’autore analizza passando in rassegna il vivace dibattito sviluppatosi «all’ombra di Piero (Gobetti)» e caratterizzato dallo sforzo dei vari Salvemini, Trentin, Caffi, e Calosso di leggere il fascismo come risultato della frattura della Grande Guerra e della cultura antiliberale europea.
I GIELLISTI sono anche tra i primi e i più avvertiti interpreti della natura totalitaria del regime e della sua capacità di nazionalizzare le masse.

Di qui la necessità di una nuova proposta politica in grado di assorbire il meglio delle tesi in circolazione sulla cosiddetta «terza via», istanze che Rosselli rielabora già in Socialismo liberale. Se i modelli di partenza sono il New Liberism inglese, il socialismo revisionista di Hendrik de Man e il liberalismo socialista di Élie Halévy, va sottolineato che si tratta di un pensiero in costante evoluzione, di cui il libro ricostruisce con attenzione i passaggi e le aperture ideologiche alla sinistra comunista. Inquadrare tali movimenti in un contesto corale in continua sollecitazione, come ha fatto Bresciani, significa quindi restituire Giustizia e Libertà alla sua storia