Una rete scarlatta di reliquie attraversa l’Europa dai tempi dei primi cristiani: frammenti, schegge, gocce ex carne, ossibus, corpore, capite, piliis, persino praecordis – l’intestino – e, più potente di tutte, ex sanguine, il rubicondo liquido ematico che fa da barometro e discrimine tra la vita e la morte. Una volta uscito dal corpo, quest’ultimo, è impossibile restare vivi, a meno che non si sia un riconosciuto eroe della fede degno di venerazione, al di là di ogni confine biologico o temporale, a meno che non si sia un santo. Solo costoro infatti hanno l’insigne privilegio di ritornare alla vita prima della resurrezione della carne finale, dando segni visibili della loro praesentia fisica all’interno della comunità con il loro risuonare, ribollire, rosseggiare e nei casi più conosciuti, sciogliersi, fervere, ebullire.
Se il più noto scioglimento ematico è il sangue di san Gennaro al Duomo di Napoli, anche il patrono d’Italia Francesco ha conosciuto e conosce un gorgogliante rivivificarsi del suo grumo a Castelvecchio Subequo, L’Aquila, e in altri luoghi dove è presente una sua reliquia.

A RACCONTARCI di questa complessa e affascinante rete di significati legati alla fede, alla storia e alla vita delle diverse comunità che ancora conservano ossa, sangue e praesentia del santo è ora una bella pubblicazione curata da Massimo Santilli, Il sangue di San Francesco d’Assisi e il prodigio della liquefazione (Edizioni Archivio Tradizioni Subequane).
Il volume è un’indagine sulla «teologia» e sulla geografia delle reliquie del santo che, all’interno di un punto di vista cattolico, indica problematiche e direzioni di studio che quell’orizzonte trascendono, collocandolo in un’ottica storico-religiosa e antropologica degna d’interesse. Perché, è bene ricordarlo, l’intervento dell’invisibile, prodigio o miracolo che sia, non deve essere ridotto allo sterile binomio vero/falso, di per sé di scarsa capacità ermeneutica, ma ampliato nelle sue reali componenti cognitive, antropologiche, persino emozionali.

LE RELIQUIE di san Francesco studiate da Santilli – tutte quelle presenti in Italia in una zona compresa tra Padova e Napoli – e il ritualismo che le circonda, sono indagate all’interno di una salvifica historia salutis che diventa la storia concreta dell’uomo che tenta di sottrarre al delirio del caso la sua esistenza per ordinarla in un cosmo dove «ragione e sentimento» trovino un accordo intorno a nucleo condiviso. Un nucleo, un oggetto/persona, che prima di essere una semplice opera d’arte è un potente veicolo d’identità e risignificazione della storia di un’intera comunità che in esso/a vuole riconoscersi e da lì prova , ciclicamente come ciclici sono gli scioglimenti o le ricorrenze, a ripartire e rifondarsi.

LO STUDIO dell’autore è stimolante perché offre un approccio multidisciplinare al fenomeno che va al di là sia di una negazione del prodigio, stretto in un immaginario privo di ogni consistenza culturale e sia, all’opposto, di una sua risoluzione come signum dell’intervento divino. Modi opposti ma entrambi tendenti a destoricizzare e designificare il fenomeno, ad addomesticarlo in comode e sicure visioni del mondo. Il sangue di San Francesco, invece, mostra come la storia possa essere più ricca, complessa e inquietante di quanto molti vorrebbero.