Ad un anno dalla entrata in vigore del jobs act, un bilancio si impone. Ma non sul solo effetto del contratto a tutele crescenti, quanto sull’insieme dei cambiamenti che hanno interessato il mondo del lavoro e sui problemi che ne discendono, soprattutto per la sinistra. Non ultimo, tra questi cambiamenti, il fenomeno del ricorso ai voucher che ha raggiunto nel 2015 la cifra record di 115 milioni di buoni lavoro, quasi quadruplicando il dato di due anni fa. Con questa esplosione si è completata quella mutazione strutturale dei rapporti e delle forme del lavoro perseguita tenacemente da alcuni anni e, finalmente per i sostenitori, realizzata dal governo Renzi.

Intendiamoci nel palcoscenico della politica italiana ci sono ancora oggi quelli che recitano la parte dei mai soddisfatti e che propongono di superare sia il limite dei 7000 euro l’anno per lavoratore, sia quello dei 2000 euro per committente. Ma nei fatti quei limiti sono stati già ampiamente superati: è notissimo, infatti, che, in tantissimi casi, si fa ricorso al voucher per una o poche ore al giorno per garantirsi l’assicurazione, ma poi si fanno tante ore in più pagate in nero. Quindi datori e lavoratori vanno ben oltre i limiti fissati ed a perderci a questo punto sono solo le casse dello Stato per l’evasione contributiva che cresce.

Ci troviamo, così, di fronte ad un fenomeno tutto italiano: una legge che doveva combattere il lavoro nero lo sta incentivando, una legge nata per il lavoro agricolo stagionale si applica ormai a tutti i settori, pubblico compreso, mentre i voucher in agricoltura fanno da fanalino di coda ridotti al 3% del totale.

Così impazziscono anche le statistiche. Se un lavoratore che viene intervistato nei dieci giorni precedenti l’intervista ha prestato lavoro, anche con voucher ed anche se solo per un’ora risulterà occupato, altrimenti no. Naturalmente le probabilità sono molto poche. Ma se dichiara di aver lavorato, anche se in nero, risulterà occupato. In realtà se si trasformassero tutti i voucher in lavoratori virtuali a tempo pieno, l’ammontare di lavoro sarebbe pari a 70-80 mila unità. Dai dati risulterebbe che coloro che hanno lavorato con voucher hanno percepito una retribuzione media annua di 470 mila euro e che ciascuno di essi avrebbe incassato 63 voucher. Il fenomeno dovrebbe preoccupare anche il governo e l’Inps per i minori introiti ed ogni tanto il ministro Poletti dice che va capito meglio. Se lo dice lui, speriamo.

Insomma, tornando al bilancio di un anno si può dire che la somma dei tanti fattori che hanno influito sulla crescita dell’occupazione (prezzi petrolio, svalutazione euro e liquidità Draghi) dell’abolizione dell’art. 18 e della decontribuzione, che costerà nell’arco dei tre anni una quindicina di miliardi, hanno prodotto tra i due-trecentomila occupati e due effetti: da un lato uno spostamento da contratti precari a contratti a tutele crescenti, sul lato opposto il fiorire dei lavori voucherizzati. Quest’ultimo fenomeno nei prossimi mesi ed anni potrebbe continuare ad impennarsi in maniera esponenziale man mano che gli incentivi si riducono ed ancor più quando essi finiranno.

Tutelare e rappresentare il variegato mondo del lavoro che così si prefigura costituisce un problema serio. In ogni caso, è certo che il mondo del lavoro che abbiamo ed avremo sarà profondamente diverso da quello che avevamo. Eravamo abituati alla classica distinzione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, tra lavoro operaio e lavoro impiegatizio, manuale ed intellettuale ed a distinguere le tipologie di rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed a tempo parziale, stabili e precari.
Ebbene tutti questi confini stanno cadendo e con essi le appartenenze e l’identità di classe o gruppo sociale. Si stanno affermando, invece, una idea ed una pratica del lavoro come momento di una vita lavorativa attiva variegata, multipla e mutevole, che cambia in rapporto al mercato, all’impegno, alle occasioni che di volta in volta si presentano.

Stiamo arrivando, così, ad una flessibilizzazione delle forme in due direzioni: da un lato, in orizzontale, tante forme di lavoro convivono, si intrecciano, si alternano, si integrano; dall’altro, in verticale, ci si sta spostando sempre più in basso, da una soglia di sicurezze garantite in termini di retribuzione contrattuale, di orario di lavoro, di garanzie di rispetto della tutela dei diritti, malattia, riposi eccetera ad una fascia prima di precariato ed adesso di buoni orari per tutti gli usi. Naturalmente non tutti vivono questo processo in negativo: ci sono categorie di persone che vi trovano vantaggi: i voucher consentono al pensionato di poter fare dei lavoretti per arrotondare la pensione, agli studenti di guadagnare qualcosa senza dover aprire la partita Iva e così via.

Mi è capitato di incontrare, in un treno di pendolari, ragazzi che venivano a Roma per fare colloqui e lavoretti, armati di smartphone ed impegnati a cercare offerte di lavoro per i giorni successivi sapendo che ti chiamavano per barista, ma ti avrebbero chiesto pulizie, carico e scarico e quant’altro e di farlo come se si trattasse di un videogioco in cui si doveva beccare l’offerta prima di altri. Alla mia domanda perché non vi arrabbiate, la risposta è stata: a che serve? così va. Ecco qui sta per una sinistra dei giorni nostri il problema: conoscere questa realtà in movimento nelle sue reali dimensioni e dinamiche, nelle componenti oggettive che la determinano – trasformazioni tecnologiche, crisi, globalizzazione dei mercati e di quello del lavoro in particolare – nelle mutazione antropologica che i processi in atto generano sulla soggettività dei nuovi lavoratori e sulla relazione tra individuo e gruppo sociale.

Sindacati e partiti sono chiamati da questi processi ad una rivoluzione culturale ed organizzativa non facile. E questo vale anche e soprattutto per Sinistra Italiana. Il percorso avviato con tanti giovani ed i tavoli tematici non può essere interrotto o rinviato. Ci sono sì tanti impegni referendari nei quali forgiare ed unire nel lavoro comune, ma in parallelo va portato avanti il lavoro di analisi teorica e di pratica sociale per stare al fianco dei nuovi soggetti. Altrimenti il soggetto nuovo rischia di nascere già vecchio.