Pare che l’origine de Il canto della caduta nasca da un soggiorno di Marta Cuscunà a San Vigilio di Marebbe, sulle Dolomiti, dove l’artista ha scoperto il mito antico del regno di Fanes, popolo pacifico e sereno perché governato solo da donne, con una monarchia matrilineare. Quel popolo non conosceva né guerra né violenza, e solo l’arrivo di invasori violenti, rovesciò ai maschi il potere, con le conseguenze di eterna conflittualità, a livello di persone come di stati.

DA QUEL MOMENTO, Cuscunà, da sempre schierata nei suoi spettacoli a sottolineare e denunciare la violenza di cui sono vittime le sue creature femminili (davvero mitica la sua staffetta partigiana Ondina, che l’ha resa nota al grande pubblico), ha indagato con tutti gli strumenti delle moderne scienze umane quell’esperienza, pensando a come raccontare quella storia che suona oggi di grande e drammatica attualità. Ha frugato anche nei linguaggi del teatro (dopo l’ultima esperienza in cui animava dei pupazzi) e ha presentato ora Il canto nella caduta, che dopo aver aperto la nuova stagione di Contatto del Css di Udine, si appresta a una fitta tournée non solo italiana.La scena è apparentemente spoglia, tranne per una sorta di grande gabbia meccanica dominata da nere sagome di volatili. Sono i «corvi» dai cui discorsi e strepiti il pubblico segue la cruenta battaglia di rovesciamento del potere femminile in quell’antico paese. Uno schermo mostra dei paesaggi e particolari ravvicinati dei Monti Pallidi, oppure delle scritte a mo’ di brechtiane didascalie.

A CONDURRE il racconto, dando voce ai diversi uccellacci , ma soprattutto a dar loro movimenti anche articolati, è proprio l’attrice, anche pupara e manipolatrice del racconto e dei suoi testimoni, che lei muove attraverso joystick frutto di una elaborata costruzione. Sono creature meccaniche e tecnologicamente avanzate, capaci di diverse possibilità di movimento, vere invenzioni animatroniche, create da Paola Villani che non da scenografa ha lavorato, con tutta l’équipe dello spettacolo, quanto come una laboratorio di tecnoingegneria avanzata.L’effetto è suggestivo, anche se molte cose risultano poco comprensibili, e a tratti rimandano alla visione di videogame, o magari a certe serie tv di fantasy. Ma ad animare il tutto c’è il lavoro fisico e intellettuale di Marta Cuscunà, che riesce a trattenere il pericolo di dispersione di tanta fatica. E a convincerci comunque della necessità di un ripensamento collettivo, nobile e grandiosa sfida per una attrice sola.