Lunedì 2 marzo il consiglio di amministrazione di Rizzoli potrebbe esprimersi sulla ventilata offerta da 135 milioni da parte di Mondadori sul suo ramo libri. All’ordine del giorno della riunione c’è un punto allusivo all’offerta della società di proprietà della famiglia Berlusconi per la società che pubblica, tra l’altro Il corriere della sera. Si parlerà infatti dell’«avanzamento del piano cessioni e progetti strategici in corso”. Più che un’allusione, sembra in realtà una conferma.

Nel merito: l’eventuale cessione di Rizzoli, Bompiani, Bur, Fabbri, Adelphi, Marsilio, Bur e Sonzogno a Berlusconi produrrebbe una grave alterazione di un mercato già largamente squilibrato. La creazione di un soggetto che monopolizza il 40% delle vendite rischia di mettere in ginocchio quella che, in realtà, è la vera ricchezza della «bibliodiversità» italiana. I piccoli e medi editori a rischio sarebbero 4 mila, 12 mila saranno gli addetti a perdere il lavoro.

«Oggi il 90% del mercato è controllato dai grandi gruppi editoriali – sostiene Enrico Capirone, vice presidente nazionale di Cna Comunicazione – Il gigante che arriverebbe sul mercato aumenterebbe ulteriormente il processo di concentrazione e monopolio, minando il principio della libera concorrenza e quel patrimonio culturale da sempre rappresentato dai piccoli editori italiani». «Ogni anno – argomenta Capirone – i piccoli e medi editori immettono sul mercato circa 30 mila novità letterarie. Spesso autori sconosciuti che non trovano posto nei grandi cataloghi e solo così possono raggiungere e arricchire il mercato editoriale. E molti sono gli autori di successo, che hanno mosso i primi passi grazie alla pubblicazione con i piccoli editori».

A pochi giorni dalla campagna vincente contro il Ddl Concorrenza che conteneva una norma suicida – l’abolizione della legge Levi che prevede un tetto del 15% per gli sconti sui libri – ecco una nuova e grave insidia per gli editori e le librerie indipendenti. Il rafforzamento di un polo monopolistico potrebbe cancellare anche quest’ultime. Ieri l’offerta di acquisto non era stata ancora comunicata all’Antitrust. Nel Cda di Rcs contrari all’operazione sarebbero Urbano Cairo che detiene il 3%. Per l’editore la cessione dei libri Rizzoli per ripianare i debiti della società non è un’operazione finanziaria di alto profilo e, in più, è un modo per dissipare la sua eredità culturale. Contrario anche il consigliere Piergaetano Marchetti.

Come lui anche i comitati di redazione del CorSera e della Gazzetta, le Rsu del gruppo che così hanno ricostruito la vicenda: «La crisi dell’editoria non c’entra. C’entrano, casomai, gli errori fatti dal management di Rcs negli ultimi anni, a partire dall’acquisizione del gruppo spagnolo Recoletos, operazione opaca che si è rivelata una vera «zavorra» per la società. Da lì si è originato il debito che ancora grava sull’azienda, che ha portato ad una prima tranche di ricapitalizzazione da 400 milioni. Una seconda tranche, da 200 milioni, è già stata approvata ed è a disposizione dell’amministratore delegato. Ma piuttosto che ricorrere ai soldi degli azionisti si preferisce mettere sul mercato i «gioielli di famiglia», tradendo il modo di fare impresa che fece grande il marchio Rizzoli grazie al suo fondatore». Per il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini «tale fusione sarebbe una minaccia per la libertà di espressione».