I casi della vita mi portarono quindici anni fa a Łódz , terza città della Polonia e sede di una scuola di cinema frequentata da Polanski, Skolimowski, Kieslowski. Si aprì un mondo: capitai al Jazzga, un club dedito al jazz più libero e da lì poi conobbi band notevoli come Robotobibok, Puch, Don’t Shelest, e prima ancora le raccolte della Compost, a documentare i suoni passati di quelle terre. A Danzica e Bydgoszcz, trent’anni fa, con la caduta del muro ed il collasso del comunismo, prendeva vita un movimento musicale, la Yass Scene: l’obiettivo, ambizioso, era quello di fondere in un linguaggio nuovo la ruggine del punk e l’oro del jazz, per forgiare un metallo raro, numi tutelari i musicisti capaci di oltrepassare i confini, da Cage a Coltrane, da Zappa a Krzystof Komeda.

DA QUELLA FUCINA emergono Mazzoll & Arthythmic Perfection, che nel 1994 invitano Art Ensemble of Chicago a collaborare. Il tempo passa, l’incontro non ha luogo, ma la stima resta; entrambe le band perdono degli elementi, ma nel 2015 i due fondatori, Roscoe Mitchell ed il clarinettista Jerzy Mazzoll, con il contrabbassista Sławek Janicki ed il figlio Qba a batteria, percussioni ed elettronica si ritrovano finalmente sul palco al Mózg festival. Il disco è la testimonianza di quel concerto ed inizia come un esercizio di speleologia con le ance a scandagliare le grotte del respiro, mentre ciottoli percussivi sfuggono come creature minuscole e antichissime al passaggio dell’umano nelle viscere della terra. Vengono convocate divinità ctonie, che riposano nascoste nell’ombra delle ere geologiche e possono essere risvegliate solo dalla potenza di un suono ancestrale, rigoroso, libero e intimamente sacro, selvatico, dionisiaco. Viaggiamo dentro profondità che solo la musica può dire, un impensato e impensabile glitch-jazz acustico tutto scarti, sincopi, singulti, agguati, ombre, bordoni. Un lungo piano sequenza inclinato verso la luce dell’utopia, fuori dalla caverna platonica: elevazione, deriva, vortice, resurrezione. Un altro messaggio sciamanico dall’instancabile, geniale Mitchell, che continua ad avere la furia serafica di sempre ed ha trovato qui degni complici, pronti a lanciarsi nell’abisso per l’ennesima fuga in avanti, con le orecchie spalancate al cosmo e gli occhi aperti verso dentro, ai confini tra foga e silenzio.