Devi essere molto coraggioso o molto disperato se a 12 anni decidi di lasciare tutto e attraversare il mare da solo. Di mollare il villaggio in cui sei nato, casa, famiglia, amici e partire. Bassey forse era un po’ tutte e due queste cose quando l’anno scorso decise di lasciare l’Eritrea e provare a venire in Europa. A spingerlo a fuggire è stata la certezza di non avere più un futuro davanti a sé, perché il regime di Asmara obbliga i giovani ad arruolarsi e a sparare a chi cerca di scappare attraversando la frontiera con il Sudan e con l’Etiopia. Lui, che sognava di fare l’ingegnere. Così un giorno di marzo è uscito da scuola e, senza avvisare la famiglia e con i soldi che gli avevano mandato i fratelli maggiori, già fuggiti in Francia e Israele, è scappato. Da solo, ma come tanti altri.

Ogni anno migliaia di bambini lasciano il paese di origine da soli per arrivare in Italia con la speranza di riuscire poi ad raggiungere il Nord Europa. Hanno dai 12 ai 17 anni e nelle statistiche sono indicati come «minori non accompagnati», per distinguerli da quelli che lo stesso viaggio lo fanno in compagnia di uno o più familiari, e sono la maggioranza: 2.744 solo nei primi quattro mesi di quest’anno, contro i 1.104 bambini arrivati con la famiglia o comunque con un adulto che si è preso cura di loro. Un fenomeno in crescita, se si considera che nei primi 8 mesi del 2013 sono stati 1.257. Fuggono da dittature, come Bassey, ma anche da guerre, persecuzioni e fame, tracciando così una mappa della disperazione in cui sono immersi molti paesi africani ma non solo. Secondo i dati raccolti da Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, e Save the Children, la maggioranza di loro, 982, proviene dall’Eritrea, 389 dalla Somalia, 345 dalla Siria, 301 dall’Egitto, 236 dal Gambia, 100 dal Mali e 77 dal Sub-Sahara. I motivi per cui si trovano a dover affrontare da soli un viaggio che dura mesi e che li espone a pericoli enormi, sono i più vari. «Molto dipende dalla nazionalità», spiega Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr Italia. «I bambini siriani, ad esempio, vengono mandati avanti dalle famiglie perché per loro il viaggio costa meno, 800-1.000 dollari contro i 1.500 dollari chiesti per un adulto. E lo fanno nella speranza di riuscire a ricongiungersi in seguito con loro. Diverso il caso dei bambini egiziani, molti dei quali già vivono per strada nel loro Paese e partono alla ricerca di un lavoro o comunque di una possibilità di vita migliore».

Viaggi a dir poco difficili. Chi ce la fa spesso racconta storie in cui dominano violenze e ricatti. Come Bassey. «Dopo essere rimasto cinque mesi in un campo in Etiopia – racconta Alessio Fasulo, coordinatore degli interventi per la frontiera Sud di Save the Children, che ha raccolto la testimonianza – Bassey è arrivato in Libia dove non è mai uscito di casa per paura di subire violenze. Per arrivare in Italia aveva concordato un prezzo di 1.600 dollari, ma in Libia i trafficanti hanno preteso altri 500 dollari per proseguire il viaggio».

Una volta lasciato il proprio Paese, gli eritrei hanno due soli percorsi da seguire per arrivare in Europa. Il primo passa per il Sinai e Israele. Il secondo per il Sudan e Libia. Entrambi sono pericolosissimi. Nel Sinai infatti opera da tempo una banda di beduini che rapisce i migranti chiedendo poi un riscatto alle famiglie per liberarli. Un traffico che secondo il rapporto «The Human Trafficking Cycle: Sinai e beyond», scritto dalla docente universitaria Miriam van Reisen, dalla giornalista Meron Estefanos e da Alganesh Fisseheye, presidente dell’ong Gandhi, negli ultimi cinque anni ha fruttato ai banditi 600 milioni di dollari grazie a violenze terribili. «Una ragazzo eritreo – ricorda ancora Carlotta Sami – mi ha raccontato di aver visto morire davanti ai suoi occhi un amico al quale avevano dato fuoco. I migranti vengono torturati dai trafficanti che chiamano al cellulare le famiglie chiedendo soldi per liberarli. Un altro ragazzo, sempre eritreo, mi ha detto invece di essere stato rinchiuso in Libia in capannoni dove la sera arrivavano le milizie che torturavano gli uomini e violentavano le donne». Proprio le donne rappresentano un altro capitolo doloroso. Si calcola che il 20% di quante riescono ad arrivare in Italia abbiano viaggiato da sole e una percentuale molto alta di loro è incinta, conseguenza delle violenze subite nei mesi trascorsi prigioniere in Libia. «Dopo l’ultimo sbarco abbiamo avuto donne in stato di choc che parlavano da sole – denuncia Carlotta Sami -. Sarebbe importante offrire a donne e bambini un’assistenza psicologica al momento della prima accoglienza, e questo purtroppo non avviene».

Ma chi ce la fa rivendica ancora il diritto a fuggire. E i bambini che hanno attraversato il Mediterraneo non accettano di fermarsi in una delle strutture di prima accoglienza che li ospitano dopo essere sbarcati in Sicilia. Sempre Save the Children ha denunciato come degli 800 minori arrivati via mare a Porto Empedocle, Catania e Augusta tra il 9 e il 14 aprile scorsi, almeno 500, in maggioranza eritrei, somali ed egiziani, sono fuggiti. «I minori che arrivano nel nostro paese – ha spiegato nei giorni scorsi Raffaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa dell’associazione – il più delle volte vogliono raggiungere mete già prestabilite, in Italia o all’estero, dove trovare lavoro e condizioni di vita migliori. Viste le difficoltà a ottenere in modo legale e tempestivo un ricongiungimento familiare e il caos assoluto che regna nelle strutture adibite alla prima accoglienza, i ragazzi decidono di scappare e di affrontare il viaggio affidandosi spesso ad adulti che speculano sulla loro condizione». Il rischio per questi bambini è infatti che, una volta giunti finalmente in Europa, possano finire nelle mani di chi punta soprattutto a speculare su di loro sfruttandoli sessualmente o come manovalanza in nero.