Il primo si dice sia stato Eddy Merckx, dopo settant’anni abbondanti in cui il ciclismo era stato sinonimo di intrighi, rappresaglie, sotterfugi e vigliaccate. Ma quando nel ’76 Gimondi cadde in maglia rosa tra Verona e Longarone, fu proprio quello lì ad intimare al gruppo di fermarsi, perché sulle sventure di un gentiluomo non si ha da banchettare. Battetelo sul campo, se vi riesce. Non ci riuscì nessuno, e forse tra tante sconfitte Felice deve a Eddy pure una vittoria. Fino ad allora, più che le regole di Giovanni Della Casa, avevano prevalso quelle della jungla. Fiorenzo Magni, per esempio, nella jungla ci sguazzava, e il suo trionfo al Giro del ’55

lo costruì su una serie di attacchi furibondi portati assieme a Coppi (sobillato a dovere il giorno prima) ai danni di Nencini, vittima di forature. A Magni la maglia, a Coppi la tappa. Un’intesa tra l’altro saltata pochi metri dopo l’arrivo, per via di una frenata di Magni innecessaria quanto meno nelle proporzioni, a sottolineare che si era trattato di gentile concessione. Coppi e i coppiani non glielo perdonarono: di qui i fatti dell’anno successivo al Lombardia, con la Dama Bianca, affacciata dall’ammiraglia della Bianchi, immortalata da Brera mentre rivolgeva al Leone delle Fiandre il gesto dell’ombrello. In tempi di egemonia del politicamente corretto, anche in gruppo, di scene del genere oramai non se ne vedono. E per la verità, quantunque Doumulin sia rimasto offeso dal mancato rallentamento dei rivali ai piedi dello Stelvio martedì, in occasione della suo malessere improvviso, non pare che l’episodio sia ascrivibile ad una volontà di infierire da parte della concorrenza.

È pur vero che, sdrucciolato Quintana scendendo verso Bergamo, proprio l’olandese aveva raccomandato ai suoi di non approfittarne, ma la fase di corsa era tutt’altra, e soprattutto, ha poi commentato Pellizzotti, «se dobbiamo pensare solo al fair play andiamo direttamente a Milano».

Queste le ruggini di ieri, che torneranno a galla su e giù per le Dolomiti. Oggi i big danno il via libera ad una fuga moltitudinaria, che si scompone per la strada che va da Tirano a Canazei. Quando il traguardo dista una manciata di chilometri saluta la compagnia un francese per il quale oltralpe si erano spesi, in passato, paroloni, che non vinceva da due anni e che in questo Giro è stato all’attacco tutti i giorni.

Si chiama Pierre Rolland, taglia il traguardo euforico, poi piange e finalmente solleva la bici al vento con un urlo.