A Marsiglia, a pochi passi dalla stazione centrale Saint-Charles, si estende il quartiere Belle de mai. Uno dei centri della resistenza durante la seconda guerra mondiale, storicamente abitato da operai, soprattutto immigrati italiani che lavoravano alla manifattura dei tabacchi, la seconda più grande di Francia. Il grande complesso industriale ha chiuso i battenti nel 1990, due anni dopo nei suoi locali è iniziata l’esperienza del centro culturale La Friche. Tutto è partito dal grande lavoro di rivalorizzazione e recupero degli spazi, tutt’ora in corso, affinché potessero essere dedicati alla creazione artistica. Vocazione che oggi si accompagna ad una vivace frequentazione da parte della città e del quartiere, nel frattempo modificatosi nella composizione, fortemente multietnica e ad alto tasso di povertà. Attualmente La Friche comprende due sale cinematografiche, due sale teatrali, un club per i concerti, numerosi locali per le esposizioni, a cui si aggiungono i popolarissimi spazi esterni ad ingresso gratuito — una grande terrazza sul tetto per gli appuntamenti estivi, uno skate park, i giardini, un campo da calcio e da basket. Circa 70 strutture artistiche e produttive abitano stabilmente il centro culturale, le quali a loro volta propongono residenze artistiche, festival, mostre, incontri formativi. Tra le tante ricordiamo la stazione radiofonica Radio Grenouille, il centro di produzione teatrale Pôle Arts de la Scène, il festival di arti performative Les Rencontres à l’échelle.
Da dieci anni direttore generale della cooperativa di gestione, Alain Arnaudet indica come maggiore soddisfazione il fatto che La Friche «sia ancora un luogo di movimento e sviluppo per gli artisti, un ambiente di reale diversità che accoglie persone da tutto il mondo, un laboratorio politico». Lo abbiamo intervistato prendendo le mosse dall’attuale situazione in Francia, dove la riapertura degli spazi culturali è stata rimandata più volte. Se a dicembre si erano svolte numerose manifestazioni per affermare il carattere essenziale di arte e cultura, ora la situazione sembra in una fase di stallo.

La riapertura dei luoghi di cultura è stata ancora una volta rimandata a data da destinarsi dal primo ministro Jean Castex. Qual è il suo pensiero su questo tema?

Il governo spesso non è abbastanza chiaro, ma non deve essere semplice per loro gestire ciò che sta accadendo. Ci avevano detto che avremmo potuto aprire dopo le feste e poi non è stato così, c’è da dire che la situazione riguardante la pandemia cambia molto in fretta. Certo, il fatto che le grandi catene siano aperte mentre i teatri e cinema non lo sono, anche se rispettano decisamente meglio le regole del distanziamento, è una dimostrazione del fatto che il consumo sta a cuore molto più della cultura. Devono preservare gli incassi delle maggiori aziende mentre dei nostri non gli interessa, per questo ci sentiamo un po’ messi da parte. Il punto è che il mondo della cultura parla molto, ma è piccolo; le multinazionali non parlano, ma pagano.

Alain Arnaudet, foto di Ludovic Careme

Il governo sta fornendo finanziamenti adeguati, sia per gli spazi culturali che per i lavoratori dello spettacolo?

Qualcosa è stato fatto ma non abbastanza. Lo Stato spende l’1% del suo budget per la cultura, questa percentuale di per sé bassa non cambia dal 1981. Mettendola però in relazione con l’inflazione, risulta evidente che ci sono molti meno soldi che in passato. Lo scorso anno il presidente Macron ha annunciato che spenderemo il 5% in più del budget pubblico per le spese militari nei prossimi cinque anni, non c’è nessun equilibrio in questo.

Come state affrontando la situazione a La Friche? Non state proponendo molti contenuti online e immagino sia una scelta, ce la può motivare?

Sì, è una scelta. Mi viene in mente il titolo dell’opera di Shakespeare, Molto rumore per nulla. Non siamo convinti della reale necessità di proporre contenuti in streaming. L’idea per cui siamo chiusi ma possiamo continuare a esistere non è vera, se siamo chiusi lo siamo e basta! Le arti dal vivo sono arti dal vivo, il rischio è di perdere la nostra anima in un certo senso. Ci si potrebbe chiedere, perché avere un artista sul palco? Basterebbe un unico spettacolo per tutta la nazione per pagarlo poi con PayPal, così Google gestirà tutto delle nostre vite.

Visitando La Friche colpisce la coesistenza di tante persone differenti, degli abitanti del quartiere con gli artisti e le loro pratiche. Cosa vi ha ispirato e come riuscite a tenere insieme questi mondi?

Io l’ho sempre pensata come una cittadina. Ci sono gli uffici, il bar e il ristorante, i campi per giocare a calcio e per andare in skateboard… È uno spazio di libertà. Sulla relazione con il quartiere abbiamo lavorato, non è stato semplice; credo che adesso loro abbiano capito noi e viceversa, ci apprezziamo a vicenda e troviamo un luogo di incontro. È importante il fatto che, pur essendo uno spazio aperto al pubblico, non siamo uno spazio pubblico. Siamo un’area privata e possiamo decidere noi le regole, queste regole proviamo a stabilirle lasciando la maggiore libertà possibile alle persone che vengono, tenendo conto del fatto che devono coabitare un luogo e rispettarsi tra loro. Quando questo riesce, non serve altro. È una mediazione tra individui, ciò che significa «vivere insieme». In Francia si parla moltissimo oggi di vivre ensemble, noi abbiamo iniziato a lavorarci dagli inizi de La Friche. Lo stesso vale per il concetto di tiers-lieu («luoghi terzi» rispetto alla casa e al lavoro, dove si svolge la vita sociale e comunitaria, ndr), mi sono reso conto che noi lo siamo dal 1992! Da quei tempi molte cose sono cambiate all’interno dello spazio, non c’è una linea retta di sviluppo ma una continuità sì e risiede nello spirito, che è rimasto lo stesso e che proviamo a preservare. Dico spesso che La Friche è come una capanna costruita da dei bambini: uno spazio dove puoi fare quello che vuoi, dove vai per scoprire qualcosa e alla fine ne scopri un’altra, dove si impara a vivere insieme per tentativi. La cosa più importante è la creatività e l’energia che le persone condividono. Negli ultimi dieci anni come direttore ho sempre lavorato sulla trasversalità: non è solo un progetto artistico e culturale, ma anche formativo e sociale; ci basiamo sull’interrelazione di questi quattro ambiti. Ognuno ha il suo linguaggio, visione e mentalità, non è semplice per l’educazione parlare col mondo della cultura e per quest’ultimo parlare con il sociale. La Friche è un laboratorio di tutto questo.