«All lesbians for Jennifer». Lo hanno scritto coi pennarelli colorati per far passare le ore di attesa. C’è chi ha dormito intorno all’Auditorium, in sacco a pelo, e chi è arrivato che era ancora buio, tutti con la speranza di conquistare la prima fila davanti alle transenne del red carpet. Una prova estenuante degna degli «Hunger Games». Infatti la ragione è lei, Jennifer Lawrence, l’eroina infiammabile frecciamunita del film di cui il festival romano ha presentato il nuovo capitolo, Hunger Games – La ragazza di fuoco. Che poi esce in sala tra poco più di una settimana – il 27 novembre – è un dato accessorio. Ciò che conta è esserci, partecipare all’evento, vedere la star.

Jennifer Lawrence, che intanto ha vinto l’Oscar per Il lato positivo, si presenta all’incontro stampa in versione bionda, coi capelli cortissimi, e la consapevolezza delle responsabilità che comporta un fan club planetario. Il primo episodio della serie, ispirata al romanzo cult di Suzanne Collins, ha incassato nel mondo quasi 700 milioni di dollari, e dal secondo (in America esce il 22) si aspetta un risultato superiore. In fondo questo tour promozionale europeo somiglia anche per lei un po’ agli Hunger Games tanto che, come dice, è stanca e ha voglia di fermarsi.

Nelle immagini del nuovo capitolo della cine-saga la cui fine «in progress» conduce direttamente nel terzo – è già stato annunciato Mockingjay – Il canto della rivolta che uscirà diviso in due parti – l’attrice appare cresciuta. La sua Katniss Everdeen non è più una ragazzina coraggiosa e ingenua ma una giovane donna consapevole del peso che comporta la vittoria negli Hunger Games. E soprattutto del fatto di averne stravolto le regole, permettendo a un altro di sopravvivere insieme a lei in nome dell’amore. Un sogno romantico (seppure tattico) e un gesto estremo di ribellione al potere di Capitol City, che l’ha resa l’eroina di tutti. Persino la giovane nipote del terribile presidente Snow (Donald Sutherland) si pettina come lei. E quando dice al nonno che a scuola tutte le sue compagne portano i capelli allo stesso modo, lui che sull’effetto mediatico ha costruito il potere, capisce il pericolo.
Francis Lawrence che ha sostituito alla regia Gary Ross, ha scommesso decisamente sull’effetto sequel. Non ci sono riassunti di spiegazione, a parte qualche visione che sono i ricordi violenti della protagonista. Chi ha visto il primo Hunger Games sa tutto. Ma anche chi non l’ha visto si abitua presto al gioco, e alle «regole» di quell universo post moderno e politico.

Katniss e Peeta, il suo «innamorato» partono per il tour dei vincitori che li porta nei 12 distretti di Panem. Al lusso dei primi distretti, i più vicini al potere, si oppongono la fame e la rabbia di quelli più lontani, da dove provengono i due ragazzi, tenuti sotto controllo con una feroce repressione dagli eserciti di Capitol City. Nel viaggio vengono accompagnati dal loro «mentore» – Woody Harrelson molto sexy – con passione per l’alcol che dispensa i suoi consigli di cinismo, ma tradiscono il copione e scatenano la rivolta. L’amico del cuore di Katniss prova a farle capire che è ora di combattere, lei esita, ha paura per la mamma e la sorellina che è cresciuta pure lei e sa come affrontare la lotta. Katniss non può farci nulla, è un icona, deve andare avanti. Il Potere a quel punto cambia le regole dei giochi decidendo di mettere in campo per l’edizione speciale della memoria i precedenti vincitori. É una tattica che mira a eliminare la Ragazza di fuoco, pensata dal nuovo capo degli Strateghi, Philip Seymour Hoffman, l’uomo che dalla centrale virtuale comanda i giocatori e il gioco.

Cosa sono gli Hunger Games infatti se non un mezzo con cui inchiodare le persone nel controllo? Sarebbe facile se tutti gli sfidanti si alleassero per tradire le regole e non ammazzarsi. Dall’impero romano in poi però la strategia è sempre la stessa: Dividi et impera. I giochi servono a stordire i sudditi, a dargli altri valori di riferimento in modo che non pensino a unirsi contro di loro. Lo sanno bene anche a Capitol City, è per questo che un mito collettivo è intollerabile.

Siccome la rivoluzione non sarà trasmessa in televisione, perché le cose accadano è imperativo rompere la bolla, la cappa invisibile del potere, l’occhio orwelliano che rende impossibile un movimento imprevisto chiudendo il gioco, e i suoi partecipanti in una natura tutta virtuale, tra l’Isola dei famosi versione estrema e Lost, controllabile a favore del potere.

. E’ materiale riconoscibile, ma anche spiazzante con l’idea di un’eroina che nel futuro ritrova qualcosa di «primitivo»: la freccia e la terra. E poi è donna, e in effetti in quel mondo non sembrano esserci marginalizzazione di genere. Lawrence però chiude narrazione e personaggi in una regia molto programmatica, priva di imprevisto. E l’effetto magico degli abiti di fuoco da solo non può bastare.[do action=”citazione”]Rispetto all’episodio precedente, questo appare un po’ più prevedibile. La tensione dell’antagonismo iniettata nella regola del gioco, appare come diluita dall’effetto seriale. Dentro ci sono tutti i possibili riferimenti di fantascienza e apocalisse, ed è quello che rende il film «popolare» probabilmente anche nel confronto col libro[/do]