Il futuro ha giustificato scelte politiche feroci. In suo nome sono stati compiuti genocidi, oppure costruito sistemi politici che smentivano l’iniziale promessa di libertà e felicità. Allo stesso tempo, sempre in suo nome, si sono sviluppati movimenti sociali che hanno agito aspri conflitti, per cambiare il corso della storia. Questo orizzonte è però offuscato al punto tale che il futuro ha assunto le caratteristiche non della sua sorella maggiore, l’utopia, bensì della distopia, cioè di un mondo sempre sull’orlo di una catastrofe che, di volta in volta, può essere ambientale, sociale, politica e culturale.

È ormai da un decennio che espressioni come «generazione senza futuro», «società senza futuro» sono entrare nel lessico quotidiano per indicare che l’annunciato avvento della «buona vita» ha lasciato il posto ad un eterno e plumbeo presente. Anche la scienza, che del futuro doveva prevedere tutto, non riesce più a svolgere il suo compito. Ad esempio, la biologia che avrebe dovuto, attraverso la padronanza del funzionamento del dna, aiutare a trovare la soluzione a molte malattie, ha invece alimentato lo spettro di Frankenstein.

Bruce Sterling, scrittore cyberpunk e attento osservatore della vita dentro lo schermo, che sarà ospite del meeting «Future Forum» a Udine (www.friulifutureforum.com), vanta una assidua frequentazione con il futuro non solo attraverso i suoi saggi più recenti – Tomorrow now (Apogeo) e La Forma del futuro (Mondadori) – ma anche, e soprattutto con i suoi romanzi, da La Matrice spezzata a Caos Usa, dove l’attitudine cyberpunk aiuta a inscrivere il «tempo che verrà» dentro gli accadimenti degli anni che hanno visto la loro pubblicazione. Sono gli anni della cosiddetta «rivoluzione del silicio» e della crisi dello stato nazione. Due fenomeni interconnessi, secondo Sterling, che vede l’assetto sociale e politico della modernità scosso nella sue fondamenta dalla diffusione della Rete. Il futuro ha le caratteristiche di un pastiche dove un assetto sociale medioevale convive con la presenza di sofisticate macchine cibernetiche che «sussumono» l’intelligenza collettiva. Una manciata di anni e il capitalismo entra nel vortice della crisi.

L’idea di futuro va in pezzi, alimentando ansie e paure di difficile decifrazione. «L’implosione dell’idea di futuro – afferma Sterling – è una prospettiva interessante dal punto di vista letterario, ma va articolata diversamente, se pensiamo a macrofenomeni. Se, invece, volgiamo lo sguardo su scenari più ravvicinati, la sua implosione appare nella sua nuda realtà. Tuttavia – continua lo scrittore – è un fenomeno transitorio, perché conseguenza di scelte di politica economica e di una complementare confusione sociale derivante da quelle scelte. Se si cambiano quelle scelte, forse sarà possibile parlare nuovamente di futuro».

La paura e l’intolleranza sono diffuse risposte alla crisi. Sta anche in questi fenomeni la perdita di futuro. «Le paure che noi viviamo sono simili a quelle testimoniate durante la grande depressione degli anni Trenta. Quindi, sì, quell’assenza – continua Sterling – è attestata da paura e forme di intolleranza».

Un’altra grande annunciatrice del futuro era la scienza. La diffusione dello scetticismo nella sua capacità di costruire un domani migliore è però un dato di fatto. «Non ho perso nessuna fiducia nella scienza, perché non l’ho mai avuta. Più semplicemente credo che il metodo scientifico posso aiutarci. Quello sperimentale, infatti, è un invito a provare e riprovare fino a quando si trova la soluzione a un problema. Si parte sempre da una ipotesi che va dimostrata e che può essere riprodotta. È un metodo che può essere utile per quanto riguarda la risoluzione di alcuni problemi attinenti al vivere collettivo. Tutto questo per dire che la scienza non ci renderà felici e neanche renderà le nostre società più prospere o più stabili politicamente. La scienza – conclude Sterling – è solo una forma di indagine filosofica della realtà».

Un approccio che stride con la sua attività di scrittore, dove il futuro è un laboratorio per descrivere il presente. «Spesso i miei romanzi sono giudicati come esempi di distopia. È un giudizio che non ho mai capito. In diverse occasioni, ho pensato che molti critici dovrebbero essere intellettualmente più accorti nelle loro giudizi. Cosa c’entra la distopia con uno scrittore texano, come sono io, che racconta storie inventate? Se vogliamo parlare di distopia, allora riflettiamo su Srebrenica, oppure sugli attacchi suicidi a Damasco. La mia è solo fiction. Talvolta pervasa da humour nero, altre attraversata da ironia e dalla satira di qualche aspetto della realtà. Cioè, modi di rappresentare la realtà distante dal nichilismo di chi si fa saltare per aria».

La distopia però emerge anche dalla Rete. Sterling ne è stato e ne è un attento osservatore. Il suo saggio-reportage, Hacker Crackdovwn, è stato il libro che ha parlato senza reticenze dei conflitti che la attraversano. Nel tempo se ne sono aggiunti altri. Studiosi come Yoachai Benkler parlano del web come laboratorio di un capitalismo senza proprietà privata, alludendo al fatto che l’open source è diventato un modello di business incentrato sull’accesso e il controllo alla Rete, senza per questo esserne proprietari. Wikileaks e Anonymous sono divenute realtà che hanno scosso gli equilibri di potere nel cyberspazio. E i «Big data» sono un business che mette a rischio diritti fondamentali, come quello alla riservatezza e al controllo dei propri dati personali.

Sterling esprime un giudizio tranchant su Julian Assange, «è un fanatico», mentre su Anonymous è caustico «si sono eletti a vigilantes della Rete. Diverso è invece il discorso degli attivisti nel cyberspazio, che seguo con attenzione e con interesse, perché la difesa di alcuni diritti è fondamentale, mentre il movimento dell’open source è una realtà molto interessante. Forse non fornisce soluzioni economiche perfette, ma viviamo in un mondo imperfetto. Poi Apple, Google, Facebook possono certo fare attività economica con i nostri dati, ma non è la cosa peggiore che possiamo osservare. Certo la Nsa si è investita di un ruolo sicuritario forse eccessivo, ma non significa che siamo alla società del controllo perché non si può mai esercitare un controllo pieno su ogni aspetto della nostra vita».