Per il percorso compiuto da Elena Ferrante e le sue opere si potrebbe adoperare il titolo di un libro di Carol Lazzaro-Weis dedicato alle scrittrici italiane e intitolato From Margin to Mainstream, del 1993: Ferrante ancora non vi compare perché L’amore molesto è del 1992, ma vi sono già tutti i presupposti perché la sua opera, che si svilupperà nei decenni successivi, sia rappresentativa di quel lungo percorso compiuto da scrittrici e critica in Italia di spostamento progressivo ma inesorabile dai margini al centro, appunto.

TIZIANA DE ROGATIS dedica un intenso e articolato volume a Elena Ferrante. Parole chiave (edizioni e/o, pp. 295, euro 18), soffermandosi soprattutto sulla tetralogia de L’amica geniale, i cui quattro volumi si sono succeduti uno l’anno a partire dal 2011, concludendosi con ritmo serrato nel 2014. Ma è interessante già nel titolo del volume di de Rogatis lo slittamento dalle opere all’autrice, la cui identità per altro è così tanto misterica e discussa anche troppo inopinatamente, e difesa nella sua discrezionalità assai giustamente da de Rogatis.

Si potrebbe però osservare che l’identità di Elena Ferrante scrittrice appartiene alla World Literature tanto quanto le sue opere, soprattutto a partire dal successo del ciclo de L’amica geniale, davvero mainstream, come ricorda Tiziana de Rogatis, che nota, anche, come le opere precedenti, da L’amore molesto a I giorni dell’abbandono, del 2002, fino a La figlia oscura, del 2006, non abbiano avuto i caratteri di centralità della tetralogia, mantenendosi piuttosto ai margini del dibattito critico.
Come si diviene quindi un classico della contemporaneità? Riscrivendo il grande romanzo delle origini, definizione tratta da La frantumaglia di Ferrante (nella nuova edizione del 2016), che Tiziana de Rogatis fa propria: il che significa giocare con generi e sottogeneri, dal romanzo storico di manzoniana memoria al melò e addirittura il fotoromanzo, perché no, con caratteri di pastiche innovativi che per altro sembrano essere una delle marche distintive delle scrittrici tutte, italiane e di altre lingue madri.

IL PENSIERO va ad esempio ad Antonia Byatt, autrice di un’altra altrettanto importante tetralogia dedicata alla meravigliosa storia della vita di Frederica Potter, al punto che i volumi de La Vergine nel giardino del 1978, Natura morta del 1985, La torre di Babele del 1996, Una donna che fischia del 2002 (tutti pubblicati in Italia da Einaudi) vanno sotto il titolo di The Frederica Quartet Series, e il cui dialogare con i generi e sottogeneri letterari è una delle tracce distintive di una scrittura che si può definire classicamente contemporanea., anche senza necessariamente tirare in ballo il postmoderno e con esso tutto quello che comporta.

Molte le parole chiave individuate da Tiziana de Rogatis, il cui libro ha innanzitutto il pregio godibile di effettuare una efficace rilettura e un riattraversamento complessivo delle opere di Ferrante con un dialogo serrato in cui sovente si adopera La frantumaglia come documento di poetica e una sorta di auto-bio-grafia implicita, anche se potrebbe essere letto e analizzato come opera a sé stante con caratteri di finzione e architettura compositi e complessi proprio come i romanzi. Napoli, le due lingue (quella italiana e quella regionale), la violenza raccontata dalle donne, la Storia e le storie, sono alcuni dei nessi forti presi in esame, ma soprattutto la smarginatura della trama e la frantumaglia del vivere sono due parole chiave distintamente individuate da de Rogatis come proprie della World Literature cui appartiene Ferrante autrice e scrittrice. Che si colloca tra Ortese e Morante, entrambe sicuramente sue antecedenti come in modo esplicito ricordato da Ferrante stessa: romanzo genealogico perciò del conflitto e del riconoscimento – altre due parole chiave individuate da de Rogatis – anche con le scrittrici che la precedono, come de Céspedes e Ginzburg, ricordate per il loro Discorso sulle donne del 1949, ma si potrebbero rievocare le due amiche protagoniste di Prima e dopo di Alba de Céspedes, a riprova di una letteratura che sulle relazioni amicali tra donne, a partire da Veronica Gambara e Vittoria Colonna, ha ancora molto da dare per ciò che riguarda quanto irrapresentato dalla scrittura a firma di uomini della tradizione.

E SE LE LILA E LENÙ dei quattro volumi de L’amica geniale sono due nomadi in cerca della loro Heimat, come scrive efficacemente de Rogatis, altrettanto nomade è il loro oscillare tra emancipazione e liberazione, tra personale e politico come da nesso forte del pensiero e delle pratiche femministe degli anni Settanta, evidente sottotesto di Ferrante che non a caso ricorda ne L’amica geniale Carla Lonzi e il suo Sputiamo su Hegel.
Come altrettanto evidente, pur se nel complesso e magistrale viluppo perturbante della narrazione, è il riferimento all’ordine simbolico della madre di Luisa Muraro.

Figlie quindi di molte madri, le Lila e Lenù di Elena Ferrante: dalla Didone emblema dell’amore tra polis e passione e rispetto alla sua complessa figura il riferimento è agli studi su Il mito di Didone di Paola Bono e Maria Vittoria Tessitore (Bruno Mondadori editore, 1998), di cui Ferrante costituisce ulteriore tessera da aggiungere alle sue avventure di una regina tra secoli e culture; fino alla Modesta di Goliarda Sapienza, molte sono le personagge che si possono rievocare come antecedenti e genealogicamente precursore. E che rappresentano l’elemento di forza e di equilibrio di una ormai costituenda per non dire costituita a tutti gli effetti tradizione di scrittrici in lingua italiana e in altre lingue, rispetto a quella che de Rogatis individua come una genealogia femminile della svalutazione al punto di definirla una «genealogia obliqua».

Lila e Lenù nel loro complesso attraversare il Novecento – proprio come Modesta e molte altre – sono oltre che figlie del padre così come da definizione di Maria Serena Sapegno, anche figlie di madri. Padri violenti e madri altrettanto violente nel plot narrativo, padri autorevoli come Lewis Carrol per la sua Alice, madri altrettanto autorevoli anche quando matrigne come Napoli città e la sua letteratura, o madri simboliche come le scrittrici italiane tutte del Novecento alle quali la critica a firma di donne rende oggi omaggio in molti modi, tra i quali quello di Tiziana de Rogatis a Elena Ferrante, appassionato e ricco per determinazione critica e complessità degli elementi in gioco.

MA LILA E LENÙ sono anche precursore di quanto focalizzato nella contemporaneità da geniacci della sceneggiatura come Shonda Rhimes, che in Grey’s Anatomy mette al centro della narrazione non solo la voce di Meredith Grey ma anche la relazionalità amicale in cui si è l’una la persona dell’altra, senza infingimenti, veli di sorta né occultamenti, anche in virtù dell’invidia reciproca, dei furti non poi tanto prometeici, dei cambiamenti al limite della rispettiva irriconoscibilità, proprio come nel caso di Lila e Lenù che dall’infanzia e dal loro essere bambine arrivano alle soglie della vecchiaia. E quindi figlie e al tempo stesso già antenate di quante verranno poi, questo fa di loro e di Ferrante già un classico della contemporaneità.

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Prende il via oggi la seconda edizione di InQuiete, il festival delle scrittrici che a Roma lo scorso anno si è distinto in un panorama cittadino e nazionale come una delle manifestazioni più sorprendenti e attese. Anche quest’anno il progetto della Libreria delle donne Tuba e dell’Associazione MIA luccica di ospiti di rilievo, da Luciana Castellina (che presenterà il suo libro «Amori comunisti» domenica alle 17, presso il palco biblioteca) a Vivian Lamarque, da Jhumpa Lahiri, Chiara Ingrao, Ritanna Armeni (che presenterà il suo libro in dialogo con Daniela Preziosi), Maria Rosa Cutrufelli a Michela Murgia, Chiara Valerio e molte altre; come lo scorso anno, focus su alcuni ritratti di scrittrici: da Sylvia Plath a Natalia Ginzburg passando per Laudomia Bonanni e altre. Novità riguardo gli esordi in una sezione (che si svolgerà domenica) a cura della Società Italiana delle Letterate; alle 15, Carla Fiorentino presenta «Cosa fanno i cucù nelle mezz’ore» e Carolina Orlandi presenta «Se tu potessi vedermi ora». Alle 20 invece sarà la volta di Giorgia Tribuiani che presenta «Guasti» e Sara Gamberini con «Maestoso è l’abbandono» (Introduce Laura Marzi).
Il programma completo: http://www.inquietefestival.it/