Nella notte del 13 novembre 2015, 130 persone sono state uccise a Parigi, negli attentati che hanno colpito un quartiere, vicino alla République, cadute mentre erano in bar e ristoranti, e al Bataclan. L’attacco era iniziato a Saint-Denis, vicino allo Stadio. Gli attentati non si sono fermati, da allora. Prima, c’era stato Charlie Hebdo, il 7 gennaio 2015 seguito dall’HyperCacher il 9. Dopo il Bataclan, due poliziotti uccisi a Magnaville a giugno, poi l’attentato di Nizza, seguito dall’assassinio di padre Hamel a Saint-Etienne-du-Rouvray. Prima ancora, nel 2012, c’era stato l’attacco alla scuola ebraica di Tolosa e a Montauban. E negli ultimi due anni altri episodi (tra cui un imprenditore decapitato nell’Isère, un attentato sventato sul Thalys). 236 persone sono morte in attentati in Francia dal gennaio 2015.

La Francia è cambiata, in seguito a questa tragica sequenza? Come? Come influiranno questi episodi sulle elezioni presidenziali della prossima primavera? Lo chiediamo a Nonna Mayer, sociologa, insegnante a Sciences-Po, specialista del razzismo, delle ineguaglianze, dell’estrema destra, della sociologia elettorale.

 

Dopo quasi due anni di attacchi violenti, anche di più se si pensa a Tolosa nel 2012, come è cambiata la Francia? Da due anni è in vigore lo stato d’emergenza, sono state votate delle leggi securitarie. Aleggia un clima di tristezza. La società si è irrigidita? Le relazioni tra le diverse componenti della società sono diventate più difficili, le divisioni sono più forti?

“Dal 1990 con la Commissione consultiva sui diritti umani realizziamo un sondaggio annuale sull’intolleranza, i più recenti sono stati fatti uno dopo Charlie Hebdo e un altro a gennaio, cioè due mesi dopo il Bataclan. Mostrano una situazione complessa: c’è da un lato una domanda di sicurezza, di repressione dei colpevoli, una domanda d’ordine, che è normale vista la paura, il risentimento ma dall’altro lato i sondaggi mostrano che nella relazione all’altro – ai musulmani, all’islam – negli ultimi due anni c’è stato un indietreggiamento dell’intolleranza, del razzismo basato su argomenti come . Dal 2014 sono state prese delle misure per far calare l’intolleranza, che dipende molto da come vengono affrontati i problemi dalla sfera pubblica. Dopo Charlie Hebdo c’è stata una reazione di solidarietà, c’è stata una grande marcia che ha attirato molta gente, e anche molti che non hanno partecipato nell’inchiesta affermano che avrebbero voluto farlo. In altri termini, dopo il primo attacco c’è stata una richiesta d’ordine, che va anche oltre il rispetto dei diritti fondamentali, ma la relazione all’altro è stata meno toccata. Per esempio, quest’anno è stato registrato un calo degli attacchi contro i musulmani. L’immagine dell’islam non è buona, la maggioranza è contro il burka o anche il velo nello spazio pubblico, ma al tempo stesso non c’è stata una crescita spettacolare dell’intolleranza. La reazione, cioè, non è automatica, adesso vedremo se e come le cose sono cambiate dopo Nizza, con un prossimo sondaggio questo mese. Lo si vede anche nei confronti dei rifugiati. Dopo il Bataclan non c’è stata nessuna marcia, ma si è radicata l’idea che tutti sono bersagli potenziali degli attentati. Non sono d’accordo con l’interpretazione di Emmanuel Todd, che ha visto nella marcia dopo Charlie Hebdo una manifestazione della vecchia Francia, cattolica, urbana, contro l’islam perché i musulmani non erano presenti”.

 

I responsabili degli attentati sono dei giovani, in maggioranza europei, francesi o belgi. C’è un dibattito tra ricercatori, alcuni parlano di nichilismo, altri di islam radicalizzato. Dove cercare le radici di questi avvenimenti tragici?

“Ci sono personalità molto diverse tra gli attentatori. Gilles Kepel insiste sul fanatismo come corsetto ideologico, Olivier Roy sul nichilismo sociale, piccoli delinquenti, legati al traffico di droga, che poi scoprono la religione, senza saperne quasi niente. Con Internet, del resto, è facile improvvisare una credenza, per fare attentati bastano pochi soldi, come si è visto a Saint-Etienne-du-Rouvray. Sull’origine sociale, va detto che non tutti sono poveri, molti hanno fatto degli studi. Esiste un problema identitario sul posto della religione nella società francese. Ma tutto questo non è sufficiente per spiegare il terrorismo. Ci sono diversi fattori, da Internet come agente di reclutamento al carcere come luogo di proselitismo, l’analisi va fatta caso per caso, personalità per personalità”.

 

Tra pochi mesi ci sono le presidenziali. Secondo lei gli attentati peseranno sul voto?

“Il Fronte nazionale ha un programma che afferma che ci sono troppi immigrati e che sono una minaccia per l’identità. E’ contro la mondializzazione, per la chiusura delle frontiere, afferma che il clima di terrore viene dall’islam, come la maggioranza dei rifugiati. Un tempo il bersaglio del Fronte nazionale era il comunismo, oggi è l’islam. Una posizione del resto condivisa da parte della destra parlamentare. C’è inoltre un contesto favorevole, che gioca sulle paure: il Brexit, e il Fn propone un Frexit, il populismo contro le élites. Adesso c’è anche la vittoria di Trump. I sondaggi dicono che qualunque siano gli avversari, Marine Le Pen arriverà in testa al primo turno (con la sola eccezione nel caso di una candidatura di Alain Juppé). Ma dicono anche che sarà battuta al ballottaggio, come finora è sempre successo, in ultimo alla regionali del 2015. E’ troppo presto per sapere. Ma in politica dipende anche da chi avrà di fronte, quale strategia adotteranno, e dal contesto, se ci saranno altri attentati, se ci sarà un’ondata di rifugiati. Ma la maggioranza dei francesi, il 56%, considera ancora il Fronte nazionale come un pericolo per la democrazia. Il Fn resta un partito anti-sistema, senza alleati, anche se Marine Le Pen ne ha modificato l’immagine e ora ha trovato nuovi elettori, tra gli ebrei o i gay per esempio. Ma il Fn non è ancora pronto per il potere”.