Settimana cruciale per l’avvenire dell’Unione europea. Mercoledi’ c’è il vertice-lampo sul lavoro a Milano, dove ci sarà più messa in scena che sostanza. La battaglia sull’orientamento è in corso a Bruxelles, nel balletto delle audizioni per i futuri commissari e nel braccio di ferro tra Parigi e la Commissione, sulla finanziaria 2015. Su questo secondo punto, la Francia rischia davvero una sanzione: la Commissione minaccia Parigi, perché nel bilancio presentato mercoledi’ scorso non è rispettato l’impegno del 3% di deficit. Per Michel Sapin, ministro delle Finanze, si tratta di speculazioni: “tutto cio’ che si dice oggi è campato in aria”, afferma. Per Sapin, la Francia “assume le proprie responsabilità”, prevedendo un programma di riduzioni di deficit, che arriveranno al fatidico 3% solo nel 2017 (e nel 2019, cioè campa cavallo con la prossima presidenza, all’equilibrio di bilancio, che la Germania raggiungerà il prossimo anno). “Non chiediamo nessuna deroga a nessuna legge – ha precisato Sapin – le regole sono eguali per tutti, la Francia assume proprie responsabilità, ma anche l’Europa deve farlo e adottare la politica alla situazione economica di oggi, se no rischiamo di restare a lungo, troppo a lungo, con una crescita debole e una debolissima inflazione”. L’arcano della scelta del 3% di deficit, difatti, era stata una decisione di vent’anni fa, che poteva avere un senso: 2% di crescita e 1% di inflazione coprivano il 3% di aumento senza dolore. Ma adesso con crescita zero e inflazione piatta, è tutta un’altra storia. Bruxelles analizza con la lente di ingrandimento la diminuzione prevista del deficit strutturale francese (cioè al di fuori degli elementi contingenti) e vede che l’impegno di un meno 0,8% l’anno non è e non sarà rispettato (ma in genere c’era una tolleranza dello 0,5, cosi’ Parigi potrebbe al limite passare, poiché sfonda dello 0,6, cioè mancano 12 miliardi di tagli). Nel 2009, il Consiglio europeo aveva avviato una procedura per deficit eccessivi contro Francia, Grecia, Spagna e Irlanda. Poi si è visto cosa è successo a Grecia, Spagna e Irlanda. La Francia rifiuta di seguire questa strada.

La vendetta, intanto, si sta concentrando su Pierre Moscovici, promesso agli Affari monetari (“un bracconiere che vuole diventare guardiacaccia”, secondo l’affermazione di un’eurodeputata del nord Europa). Domani, Moscovici “ripassa” l’esame dell’audizione, ma solo per iscritto. All’orale, la scorsa settimana, non ha convinto nessuno, a parte il gruppo Pse (a cui appartiene), malgrado l’inchino di fronte alle “regole”. Per attenuare un po’ la tensione dei veti incrociati, il giudizio dell’Europarlamento su Moscovici da un lato (Pse) e sullo spagnolo Miguel Arias Canete (Ppe) al Clima e Energia, previsto per giovedi’, è stato rimandato alla prossima settimana. Vedremo se giovedi’ sarà spianato il terreno per altri candidati controversi (per esempio, la ceca Vera Jourava, alla Giustizia, è stata malmenata nell’hearing dell’Europarlamento, ci sarà un voto di conferma anche per la svedese Cecila Malmström al Commercio, restano perplessità sul britannico Jonathan Hill ai servizi finanziari, un vero topo nel formaggio). Bisogna vedere se in questo ciclone non verrà presa anche l’italiana Federica Mogherini, che è passata al vaglio ieri sera per la carica di Mrs. Pesc.