Uno scambio di battute tra i leader dei due paesi europei più impegnati nelle questioni di difesa – il britannico David Cameron e il francese François Hollande – illustrano meglio di tante spiegazioni lo stato della politica di sicurezza e di difesa comuni della Ue. La scena ha avuto luogo al Consiglio europeo dello scorso dicembre, dedicato per la prima volta da anni alle questioni della difesa. «Bloccherò ogni iniziativa che miri a dotare le istituzioni europee di reali capacità militari», ha affermato Cameron. «Nessuno prevede la creazione di un esercito europeo», ha ribattuto Hollande. Eppure il trattato di Lisbona, entrato in vigore nel dicembre 2009, aveva ripreso agli articoli 42-46 la politica di sicurezza e di difesa comuni del trattato di Maastricht (titolo V), che prevedevano la realizzazione di una politica estera e di difesa comuni, con la specificazione, comunque, che non si sarebbe sostituita alla Nato. 

Da allora nulla o quasi si è mosso. Molti stati evocano la mancanza di denaro per giustificare la paralisi della difesa comune. Ma, complessivamente, gli stati della Ue spendono il 40% di quanto facciano gli Usa, con capacità operative però pari soltanto al 10% di quelle statunitensi. Viene invocata la priorità data al soft power in Europa rispetto alla potenza militare. Ma gli stati europei non sono programmaticamente pacifisti. Questa sarebbe una scelta politica chiara. Sono invece preda dei vecchi nazionalismi, ognuno per sé, con le ex grandi potenze che pensano di poter agire ancora da sole nello scenario internazionale – Francia e Gran Bretagna – cercando una alla volta l’appoggio degli Usa, e la Germania che mantiene una posizione reticente, pur non disdegnando la produzione e l’export di armi.

Nei fatti, la Francia decide da sola gli interventi esterni, salvo poi rivolgersi alla Ue per chiedere appoggio e finanziamenti, mentre la Gran Bretagna non si smuove dalla centralità della Nato, rifiuta la difesa europea e si limita a firmare accordi bilaterali. Gli altri paesi stanno a guardare, con alcuni episodi velleitari decisi qui e là da governi che vogliono mostrare i muscoli.
Mentre l’abbandono della presenza in Afghanistan è già in programma, un paese europeo è impegnato in due interventi militari: la Francia di Hollande è in Mali da un più di anno e dal 5 dicembre scorso interviene in Centrafrica (era anche pronta ad agire in Siria, se Obama non avesse rinunciato). Nel 2011 la partecipazione all’intervento in Libia era stata decisa da qualche paese, sulla scia di Francia e Gran Bretagna, come partecipazione nazionale. Sul Mali e il Centrafrica Parigi ha deciso da sola e agisce in solitudine. La Francia vorrebbe però che venisse creato nella Ue un fondo permanente destinato a finanziare le operazioni militari esterne. Ma Hollande precisa: «Non vogliamo essere la forza armata e non chiediamo di essere pagati, non siamo dei mercenari né i gendarmi dell’Europa». La Francia fa valere però ilf atto che in Sahel e in Centrafrica difende la sicurezza europea contro il terrorismo jihadista e che quindi sarebbe necessario «condividere il fardello» finanziario. Ma Hollande non ha chiesto niente ai partner prima di intervenire e nel caso di una missione esterna della Ue è richiesta l’unanimità dei paesi membri. Anche i battle groups europei (la Forza di reazione rapida), che esistono sulla carta dal 2007, non sono mai serviti, anche se è stato deciso di inviare 500 uomini in Centrafrica, ma la data non è ancora stata definita, per coadiuvare i 1600 militari francesi presenti (altri 400 dovrebbero essere inviati a breve, in un paese a rischio di pulizia etnica e di partizione). Per ora, l’Ue partecipa a minima all’operazione Sangaris in Centrafrica, con 50 milioni di euro a favore della Misca (missione africana) e altrettanti in aiuti umanitari. In Mali c’era stato un minimo appoggio logistico ai francesi di alcuni stati membri, ma molto inferiore a quello concesso dagli Usa all’operazione Serval (aerei di rifornimento, trasporto e intelligence, oltre alla vendita a Parigi di due droni, tecnologia non ancora sviluppata dall’industria dell’armamento francese).