Oggi la Francia è al voto per il primo turno delle presidenziali dopo una lunga campagna che lascia un clima di confusione, senza che nessun tema sia diventato davvero centrale, una V Repubblica arrivata al capolinea, concentrata attorno alla personalità dei candidati invece che sui programmi.
I seggi aprono alle 8 e chiudono alle 19 (alle 20 per le grandi città) e il risultato potrebbe tardare ad arrivare stasera. Undici candidati sono in corsa, quattro in testa stando ai sondaggi, tra il 19 e il 23%: Emmanuel Macron (En Marche! centro), François Fillon (Républicains, destra), Marine Le Pen (Fronte nazionale, estrema destra), Jean-Luc Mélenchon (France Insoumise, sinistra). Assente nella pattuglia di testa, Benoît Hamon (Ps), ormai distanziato, malgrado abbia messo sul tavolo una delle poche idee nuove, il reddito universale.
IL VOTO AVVIENE due giorni dopo l’attentato dei Champs Emysées, che è costato la vita a un poliziotto. La sicurezza è al massimo, in un paese che dal novembre 2016 è in stato d’emergenza: 50mila agenti di polizia e 7mila militari sorveglieranno lo svolgimento nei 66.546 seggi, nei più importanti c’è un sistema di collegamento diretto con la Prefettura in caso di problemi, dovranno venire evitate le code di elettori, che potrebbero essere un bersaglio. Le autorità pensano anche al dopo: potrebbero esserci disordini nella serata, in caso di passaggio al ballottaggio di Marine Le Pen. Il secondo turno sarà tra 15 giorni, il 7 maggio.
È IL DECIMO VOTO diretto per la scelta del presidente nella Quinta Repubblica. François Hollande ha rinunciato a ricandidarsi e nella campagna è mancata la discussione sul bilancio della presidenza uscente, di cui nessuno vuole assumere l’eredità. Dal ’62, quando con un referendum era stato scelto il sistema di elezione diretta del capo dello Stato, mai il presidente uscente si era ripresentato (era successo solo nel ’74, perché Georges Pompidou era deceduto). Il voto è già iniziato ieri nell’Oltremare: da Saint-Pierre et Miquelon a Mayotte, passando per la Guyana, le Antille, la Polinesia francese, la Nuova Caledonia e la Réunion. La Guyana è andata al voto dopo l’accordo che è stato raggiunto ieri in seguito a un mese di forti proteste: oltre al miliardo di euro già stanziato, c’è la promessa di altri 2 miliardi di investimenti pubblici (ma la patata bollente passa in realtà al prossimo governo).
GLI 11 CANDIDATI ricoprono un ampio spettro di posizioni politiche: oltre ai cinque principali, i trotzkisti Philippe Poutou (Npa) e Nathalie Arthaud (Lutte ouvrière), fino alla destra di Nicolas Dupont-Aignan e i tre «piccoli» (François Asselineau, Jacques Cheminade e Jean Lassalle). Ma l’offerta sembra non convincere in questo periodo di crisi e di sfida verso la politica. L’astensione potrebbe essere importante, vicina a quella del record del 2002, l’elezione dello choc della prima presenza del candidato del Fronte nazionale al ballottaggio. La campagna è stata scossa dagli scandali, in primo luogo quello di Fillon (impieghi fittizi di famigliari, società di consulenza, regali) seguito da Marine Le Pen (impieghi fittizi pagati dal Parlamento europeo).
AL DI LÀ DELLE SINGOLE proposte, due attitudini si scontrano oggi: l’ottimismo e il pessimismo, e di conseguenza l’apertura e la chiusura al mondo (a cominciare dall’Europa). Macron, Hamon, Mélenchon, al di là della diversità delle proposte, propongono un futuro costruttivo, anche se il candidato della France Insoumise indulge sotto alcuni aspetti al protezionismo, che chiama solidale. Gli altri hanno instillato per mesi – la campagna è stata lunghissima, dalle primarie della destra del dicembre 2016, ma anche da prima – una visione pessimista, di paura. I partiti che hanno governato la Francia negli ultimi 50 anni, i neo-gollisti e i socialisti, rischiano oggi di essere esclusi, a favore del rancido (Le Pen), del superamento degli schieramenti (Macron) o di uno spirito di protesta (Mélenchon).
LE PEN TORNA SULLA VIA DEL PADRE

Negli ultimi giorni Marine Le Pen è tornata ai «fondamentali» dell’impresa famigliare Fronte nazionale: «fermare l’immigrazione», priorità nazionale per il lavoro, frontiere chiuse, pugno di ferro contro tutto ciò che è considerato “devianza” dalla millenaria tradizione francese.
Dopo l’attentato sugli Champs Elysées ha adottato toni marziali, contro tutte le mollezze dei politici al potere. All’inizio della lunga campagna Marine Le Pen aveva fatto delle scorribande su un altro terreno, quello sociale, con l’intenzione di “de-demonizzare” l’estrema destra. Per attirare un elettorato popolare scombussolato, ai perdenti della mondializzazione aveva promesso protezione, quasi un programma con tinte socialiste, ma sempre ben ancorato nel “nazionale”.
Mettendo in sordina la vecchia destra contro-rivoluzionaria, antisemita, aveva usato i toni del nuovo populismo che propone ai «piccoli bianchi» di ritrovare l’ordine contro il complotto euro-mediatico, per ritrovare l’antica identità facendo leva sulle paure (della mondializzazione, dell’altro, del «finto povero» che viene da lontano etc). Usando l’arma della denuncia del «complotto» mediatico, ha approfittato di un “effetto Teflon” per gli scandali sugli impieghi fittizi di collaboratori pagati dal Parlamento europeo. Negli anni il Fronte nazionale ha consolidato i consensi, instillando gocce di veleno, attorno a un progetto ideologico estremista. Il disprezzo per la Ue fa parte del programma, ma Marine Le Pen ha un problema: non tutto l’elettorato di estrema destra vuole uscire dall’euro.
C’è tutta una parte che è rimasta fedele al padre Jean-Marie Le Pen, oggi corteggiata dalla nipote, Marion Maréchal-Le Pen, che vuole liberismo in economia e che non ha nessuna intenzione di sacrificare i risparmi in nome del programma sociale della candidata. (a. m. m.)
FILLON, IL GOLLISTA DEGLI SCANDALI

Nella distruzione e ricomposizione in atto del sistema politico francese, François Fillon potrebbe essere l’uomo che porta il suo campo, gli eredi rivendicati di De Gaulle – il fondatore della V Repubblica – all’esclusione dal potere supremo. L’ex primo ministro ha vinto a sorpresa le primarie della destra, facendo fuori il favorito Alain Juppé ed escludendo Nicolas Sarkozy, che sognava la rivincita. A fine 2016 aveva praticamente la vittoria in tasca.
Poi sono arrivati gli scandali: impieghi fittizi, ma con vero salario, per la moglie Penelope, stage superpagati e forse mai fatti per due dei 5 figli, società di consulenza fondata nell’ultimo tempo utile dopo aver perso Matignon, sede del governo, per poter sfruttare il copioso indirizzario di amici e clienti, fino agli abissi dei vestiti offerti da un avvocato affarista. Eppure Fillon è rimasto in sella. La destra classica ha una solida base elettorale, in gran parte formata da senior, da proprietari di case e di conti in banca, un elettorato sensibile alle proposte di «rigore» (per gli altri).
L’ex primo ministro ha toccato il punto più basso nei sondaggi quando ha minacciato tagli ai rimborsi della Sécurité sociale (in particolare alle spese mediche), parte del programma subito rivista.
Nessun paradosso fa paura a Fillon, in politica dall’81 ma che non ha esitato a presentarsi anche lui come anti-sistema. Contro Macron gioca la carta dell’esperienza, mentre per fare concorrenza a Marine Le Pen ne ha adottato in parte toni e contenuti.
È stato salvato dai militanti di Sens commun, un movimento ultra-cattolico, che difende le «radici cristiane». Propone l’Europa «delle nazioni» e di rinnovare l’alleanza con la Russia di Putin. Lo sgambetto potrebbe arrivare da Nicolas Dupont-Aignan di Debout la France, sovranista estremo che si proclama gollista. (a. m. m.)
HAMON O IL SOCIALISMO «FUTURIBILE»

Una patina di simpatia l’ha sempre accompagnato, gli viene riconosciuto il primato delle idee, ma qualche consenso in più arriva a Benoît Hamon solo alla fine della campagna elettorale. Il candidato che ha vinto a sorpresa le primarie del Ps, battendo l’ex primo ministro Manuel Valls, è stato abbandonato dai suoi, schiacciato a sinistra dall’ascesa di Mélenchon e a destra, intesa come l’ala destra del suo partito, da chi guarda ormai verso Macron.
Hamon, con l’economista Thomas Piketty, ha presentato un progetto interessante per la riforma democratica dell’Europa e della gestione dell’euro. Con la sociologa Dominique Méda ha fatto la proposta che per un momento ha occupato il centro della discussione della campagna presidenziale: il reddito universale. Ha voluto «rovesciare la logica» al potere, per «investire nell’avvenire», nella lotta contro i rischi dell’inquinamento a tutti i livelli, nel dare una «garanzia del servizio pubblico», per salute, scuola, cultura. Ma ha dato l’impressione di lavorare più al rinnovamento del Ps che di prepararsi a governare la Francia, rifiutando il ruolo dell’uomo provvidenziale.
Il cinquantenne bretone diplomato in storia, col pallino di Bernie Sanders, ex ministro dell’Istruzione, ha giocato come ha potuto nella Francia di oggi la carta dell’ottimismo, puntando sul futuro. Da molti commentatori è stato giudicato «troppo avanti», quasi futuribile. In effetti Hamon propone «un futuro desiderabile e possibile», un superamento del social-liberismo perché «l’avvenire appartiene a una social-democrazia rifondata», che passerà anche per la fine della V Repubblica e l’avvento della VI. (a. m. m.)
MACRON, UN GIOVANE «NE’ DI DESTRA NE’ DI SINISTRA»

Giovane, 39 anni, ex ministro dell’Economia che ha saputo abbandonare Hollande a tempo (la scorsa estate) dopo aver appena fondato il movimento En Marche!, è l’uomo nuovo che puo’ creare un terremoto nel panorama politico francese. “Né di destra né di destra” o anche “e di destra e di sinistra”, Emmanuel Macron ha un programma ottimista per superare quelle che considera vecchie divisioni di un mondo ormai superato dalle trasformazioni in corso. Gli viene rimproverato di essere stato banchiere da Rothschild, accusato di essere il candidato della finanza. “Ritrovare il nostro spirito di conquista per costruire una nuova Francia” è il suo slogan, nel suo programma la parola più ripetuta è “fiducia”, nel futuro, nella ricerca, nell’innovazione, nel progresso.
È l’unico vero europeista tra i candidati, che promette di rilanciare la Ue fondando una nuova partnership con la Germania. Del resto, Merkel, il ministro delle Finanze Schaüble, ma anche l’Spd Sigmar Gabriel “votano” per lui. Il suo discorso fa soprattutto breccia tra la parte più attiva della popolazione, che vuole essere “vincente” nella mondializzazione. Vuole modernizzare, semplificare (anche all’eccesso, come il diritto del lavoro).
A chi è in difficoltà promette lavoro e formazione per poter affrontare le sfide. Ha già rinnovato la politica, con la partecipazione di più di 30mila cittadini alla scrittura del programma (accanto a 500 esperti), per le legislative En Marche! avrà almeno la metà dei candidati provenienti dalla società civile. Forte nei sondaggi, resta un candidato fragile.
Con chi governerà? Ha fatto un accordo elettorale solo con il centro MoDem di François Bayrou, ma è seguito dall’ala destra del Ps, a cominciare da Manuel Valls. Ma Macron per il momento tiene a distanza i politici di professione, per respingere il sospetto di essere il successore di Hollande. (a. m. m.)
L’ULTIMO RUGGITO DI MÉLENCHON

A 65 anni è «il suo ultimo combattimento». Jean-Luc Mélenchon lo porta avanti anche con gli ologrammi di se stesso, che gli hanno permesso di moltiplicare i comizi.
I consensi sono in netta crescita per il leader della «France Insoumise», che è alleato dei comunisti del Pcf, ma a cui ha imposto di non mostrare troppo le loro bandiere, ai comizi la Marsigliese si fa sentire più dell’Internazionale. Messo da parte “il rumore e il furore” della campagna del 2012 (aveva avuto un po’ più dell’11%), Mélenchon vuole convincere gli astensionisti, chi si è allontanato dalla politica, perché si è sentito “tradito” dalla sinistra di Hollande.
Ex senatore Ps, nel partito socialista per più di 30 anni, europarlamentare, oggi fa campagna al di là dei partiti tradizionali, molto sul web (YouTube, Facebook, blog) per bypassare la «casta mediatica», con grandi appuntamenti, come la marcia del 18 marzo, più di 100mila persone a Parigi, nel giorno di celebrazione della Comune. Il modello è la campagna di Bernie Sanders, che ha seguito da vicino. Rigetto del sistema «finanziarizzato e disumanizzato», per «un cambiamento radicale», l’obiettivo è il «dégagisme», il «que se vayan todos» alla francese.
«El Chon», come è soprannominato per i suoi legami con l’America latina, ha dovuto difendersi dal voler essere il Chavez francese. Tra i suoi bersagli, c’è l’Europa, a cui propone un «piano A» di abbandono dell’austerità e di «protezionismo solidale» e, in caso di rifiuto, un «piano B» di uscita da Ue, euro (ma anche Nato e Wto) per la Francia.
Promette la VI Repubblica, più democratica. Ha un piano di svolta ecologica ben costruito. A sinistra, due rivali della tradizione trotzkista, Philippe Poutou (Nuovo partito anticapitalista) e Nathalie Arthaud (Lutte ouvrière), gli rimproverano l’abbandono dell’internazionalismo operaio. (a. m. m.)
Anti-sistema anche i tre piccoli candidati
Anche i tre “piccoli” candidati della presidenziale navigano sull’onda della moda dell’”anti-sistema”. Eppure i tre sono ben inseriti nelle strutture pubbliche (così hanno ottenuto le 500 firme di patrocinio necessarie per presentarsi).
François Asselineau vuole il Frexit e vede ovunque l’ombra della Cia, ha fatto Hec e l’Ena (due scuole dell’élite) e ha alle spalle una lunga carriera nei gabinetti ministeriali, regionali e comunali, sempre come compagno di strada della destra molto a destra.
Jacques Cheminade si candida per la terza volta, anche lui ha frequentato Hec e Ena, è noto per « l’industrializzazione della luna e la conquista di Marte». È accusato di settarismo per i legami con il complottista Lyndon LaRouche, condannato negli Usa a 5 anni di carcere per frode fiscale.
Jean Lassalle è stato deputato nel 2002, ha spesso stupito l’Assemblée con i suoi interventi, è stato anche sindaco e ha attraversato la Francia a piedi, 5mila km, per discutere con i cittadini. Ha scritto un libro, “Un pastore all’Eliseo”, e assicura di essere il più adatto a far fronte a Trump e a Putin, perché ha «incontrato lupi e orsi» nei suoi Pirenei natali. (a. m. m.)