Quando si entra nello spazio dell’Arco dei Becci l’odore di vernice è il primo incontro sensoriale con il lavoro di Reynier Leyva Novo, detto «el Chino» (il cinese) per il taglio dei suoi occhi e anche perché vive nel quartiere cinese di L’Avana (dove è nato nel 1983), nella stessa area in cui la galleria Continua ha aperto, un anno fa, la sua nuova sede in un teatro-cinema degli anni ’50. Poi c’è quello metallico dei pesi (da 1 grammo a 1 chilo) realizzati con l’ottone dei proiettili fusi. Difficilmente percepibile, invece, l’odore della cenere dell’opera completa di José Martì, leader per l’indipendenza cubana, scrittore, giornalista, poeta e filosofo, conservata nella teca costruita in base alle dimensioni dei volumi.

Il lavoro concettuale che l’artista cubano ha realizzato in occasione della mostra El peso de la muerte, la sua prima personale italiana alla galleria Continua (visitabile fino al 30 aprile; nel 2011 era tra gli artisti del Padiglione dell’Iila alla 54/ma Biennale di Venezia) è un’analisi della storia – «la grande costruzione intangibile dell’uomo», come la definisce Leyva Novo – attraverso i conflitti e le guerre. «Soprattutto il XX secolo è considerato dagli storici il periodo in cui si registra la maggior quantità di morti. Guerre che hanno modificato non solo i confini geografici, ma i destini dell’umanità».

8 Reynier Leyva Novo, El peso de la muerte (serie de pesas de 1 g. a 1 Kg fundidas con latón de balas) (Courtesy Galleria Continua - ph Ela B
El peso de la muerte

Partendo da questa considerazione Reynier Leyva Novo ha preso in esame dodici conflitti bellici attraverso i rispettivi documenti che ne sanciscono la fine: dal I Trattato di Parigi del 1898 (guerra ispano-cubana-americana = 75mila morti; quantità d’inchiostro usato: 0,046 mq) al Discorso ufficiale di Barak Obama – pubblicato dall’ufficio stampa della Casa Bianca il 14 dicembre 2011 – sulla guerra in Iraq (oltre 1 milione di morti¸ quantità d’inchiostro usato: 0,104 mq), passando per risoluzioni e accordi che riguardano anche la guerra civile spagnola, i due conflitti mondiali, la guerra di Corea e del Vietnam, l’Angola, l’Afghanistan, la guerra del Golfo e quella per il possesso delle isole Falkland/Malvine per cui Argentina e Regno Unito si sono scontrate tra aprile e giugno 1982 (900 morti; quantità d’inchiostro usato: 0,008 mq).

Le tracce della storia, attraverso l’inchiostro di questi documenti che certificano la quantità dei morti, hanno una superficie, un volume, un peso che l’artista riesce a calcolare utilizzando un software messo a punto da un gruppo di programmatori (IN k 1.0), che si traduce visivamente nella forma del rettangolo. Dodici rettangoli neri, di diverse misure: «sono come monumenti funebri d’inchiostro». Il nero non indica solo il lutto, implica anche il concetto di negazione dei conflitti stessi, sottolineato dall’operazione con cui riesce a trasformare proiettili in pesi (El peso de la muerte) o, come nell’installazione S/T realizzata in un altro ambiente della galleria, il bronzo e l’acciaio delle armi diventano attrezzi agricoli: «un progetto che parla di guerra e violenza, ma che nella sua realizzazione va nel verso contrario».

Per l’installazione El beso de cristal (2015), invece, Leyva Novo ha usato il vetro. «È il materiale che porta al mezzo espressivo». La scelta è istintiva, mentre è razionale l’aspetto relativo alla metodologia: «Non sono io a produrre le opere che penso; quasi sempre sono prodotti realizzati industrialmente e hanno una relazione con la scrittura». L’installazione consta di settanta bicchieri di vetro da vino che ripercorrono la storia degli Stati Uniti e di Cuba attraverso i volti dei loro presidenti, che prendono forma attraverso la proiezione della luce. «Mi piaceva la trasparenza del vetro come tesi politica sulla diplomazia internazionale, ma soprattutto la sua fragilità». All’angolo, che segna il punto di tensione (anche di questo momento storico), ci sono Raúl Castro Ruz e Barak Obama. «I miei riferimenti non sono da ricercare nel mondo dell’arte, ma nella letteratura, nella storia – spiega el Chino – Cuba è un laboratorio spettacolare per me. Certamente c’è limitazione nella libertà d’espressione, un tipo di censura sotterranea che è anche autocensura. Diciamo che la libertà esiste, ma non l’ho ancora incontrata!»