Il clima è già cambiato. Eppure continuiamo a guardare le immagini di Matera, Venezia, Alessandria sommerse dall’acqua come se fossero il solito episodio di maltempo, con il fatalismo di un Paese che da sempre soffre le conseguenze della sua fragilità idrogeologica.

Questa volta purtroppo è diverso e i cambiamenti climatici stanno già presentando il conto da pagare per il fatto che non stiamo facendo nulla, sia sul fronte dell’aumento delle emissioni di gas serra – in crescita nel 2018 in Italia e nel mondo – che di quello della messa in sicurezza ed adattamento del territorio a fenomeni estremi sempre più intensi e frequenti.

Di sicuro non dobbiamo accettare questa situazione, perché rischiamo in pochi anni di trovarci di fronte a scenari che metterebbero ancora più in pericolo i territori e le persone. Dal 2010 ad oggi sono stati 563 gli eventi meteorologici estremi che hanno causato danni rilevanti nel nostro Paese, come racconta l’ultimo Rapporto di Legambiente presentato ieri sull’impatto dei cambiamenti climatici.

Nel 2018 il bilancio è stato molto superiore alla media degli ultimi cinque anni, con 148 eventi che hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati. Questo scenario ci deve portare a guardare in modo nuovo alla fragilità delle nostre città, perché alluvioni, ondate di calore e siccità renderanno ancora più pesanti i problemi che già soffriamo. Una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Lancet ha messo in evidenza come l’Italia sia il paese con il più alto numero di morti per inquinamento in Europa, con oltre 45mila morti all’anno.

E se nelle città italiane continuerà ad aumentare la temperatura media – come a Milano dove è cresciuta di quasi due gradi rispetto alla media degli anni 1970-2000 -, gli impatti sulla salute delle persone rischiano di essere ancora più rilevanti e a pagarli saranno soprattutto i più poveri, sia da noi che in tutto il mondo. E il nostro paese come si sta preparando per queste sfide? Purtroppo per ora sta facendo poco e in ordine sparso, senza una bussola che aiuti a individuare le priorità. Siamo infatti l’unico grande paese europeo che non dispone di un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, ossia lo strumento che dovrebbe servire proprio a individuare le aree a maggior rischio su cui concentrare risorse e interventi. Non solo, il Governo Conte II sconta le liti tra le componenti della maggioranza sulle scelte da intraprendere. Uno dei primi atti di questa legislatura è stata, infatti, la chiusura della struttura di missione «Italia Sicura», che si occupava di lotta al dissesto idrogeologico, perché di ispirazione renziana, trasferendo tutte le competenze al Ministero dell’Ambiente.

Dopo più di un anno è evidente il fallimento di quella scelta, con progetti fermi e una dispersione di risorse tra interventi di cui non si conosce l’utilità, mentre i Comuni non hanno le risorse neanche per la manutenzione di tombini e fiumi.

Eppure in questi giorni si è dimostrato che laddove si interviene per tempo, con progetti pensati e progettati bene, si possono salvare vite umane.

A Pisa l’Arno non ha provocato danni perché negli anni passati sono stati realizzati bacini di esondazione e un efficace sistema di controlli. Tutto questo è politica, descrive meglio di tanti annunci cosa vuol dire investire nel green new deal di cui si parla tanto con il Governo giallorosso. Soprattutto, da un punto di vista politico, parlare di queste emergenze e di interventi di questo tipo permette anche di cambiare l’agenda mediatica. Possibile che si continui a discutere di un’emergenza sicurezza in Italia imposta da Salvini, sulla questione migranti, quando dati e sondaggi dimostrano che le persone sono spaventate dall’impatto di un clima che sta cambiando e chiedono interventi? Per uscire da questa trappola dobbiamo trasformare l’emergenza climatica in un progetto che sappia parlare di innovazione ambientale, sicurezza, riduzione delle disuguaglianze.

* Vicepresidente Legambiente