È una giornata di sole a Kiev, sull’ampio viale Khreschatyk la gran folla del mattino che scompare e riappare da uno dei numerosi sottopassaggi riscaldati è quella di sempre.

In strada non c’è più neve e il poco ghiaccio rimasto si sta sciogliendo. Se non fosse per la presenza delle telecamere dei giornalisti puntate sulla colonna di Piazza Indipendenza (la famosa «Maidan» delle proteste del 2014, in realtà il termine con cui la conosciamo in Occidente vuol dire semplicemente «piazza») e sui viali limitrofi quasi non ci si accorgerebbe che potremmo essere a 24 ore da una guerra.

LA COSA STRANA, forse accentuata dal clima quasi primaverile, è che gli ucraini non hanno affatto l’aspetto di chi a breve dovrà fronteggiare un’invasione. «Che fai, non scappi all’aeroporto, non lo sai che sta arrivando Putin?» urlano due ragazzi mentre sistemiamo i microfoni. Gli chiediamo se non hanno paura e rispondono che «sono ucraini, sono abituati» in un modo talmente affettato da farlo sembrare uno spot televisivo dell’esercito.

Roman, nei pressi della metro Arsenalna, vicino al parco che ricorda i martiri dell’Holodomor e le guerre ucraine moderne, è più accorto: «È vero che non sai mai cosa ti puoi aspettare da quel pazzo (Putin), però anche lui sa che non può permettersi una guerra qui, andiamo, anche se nessuno ci crede troppo, siamo sempre in Europa!». Ma tu che faresti se arrivassero i russi a Kiev, gli chiedo. «Qualcosa di sicuro farei, eccetto prendere le armi, non sono capace, non ho mai sparato». E alla domanda «ma ne hai voglia?» mi risponde che il fratello è arruolato ed ora è a Kharkiv, quindi anche lui dovrebbe fare la sua parte.

A METÀ GIORNATA arriva la notizia che una parte del contingente russo di stanza al confine sta rientrando nelle proprie basi e che, in particolare, le esercitazioni in Crimea sarebbero terminate. I media di tutto il mondo la accolgono come il primo segnale di distensione da settimane. Ma gli ucraini ci credono? Generalmente no, ma prevale un certo fatalismo che ricorda un po’ l’Amleto, «se deve essere domani non sarà oggi, essere pronti è tutto».

ARINA, ALL’ULTIMO ANNO di superiori, in mezzo ai compagni che scherzano fuori al Mc Donald’s dice che «in classe i professori ci hanno detto di non parlarne e di mantenere la calma qualsiasi cosa succeda, così noi non ne parliamo a scuola, ma se non ci sarà la guerra è una buona notizia». Una signora, incuriosita dal microfono, si avvicina e chiede come la penso io, prima ancora di poter dire una parola mi anticipa iniziando un’invettiva contro gli americani. «Fanno sempre così, non è la prima volta che lo vediamo, urlano che qualcuno sta per fare qualcosa di terribile e poi sono sempre loro a iniziare».

I RAGAZZI RIDONO, ma lei continua: «Adesso si sono dimenticati tutti da dove veniamo, Putin non è nostro amico, ci usa solo contro la Nato, ma noi siamo più vicini ai russi che ai capitalisti». Le chiedo cosa farebbe lei in caso di guerra e mi risponde che «non si fa altro che parlare di guerra, come se fosse una cosa facile, come se la gente non morisse, io ho già perso un figlio nell’esercito» e se ne va.

FORSE L’INIZIO DEL RITIRO delle truppe è stato favorito anche dalle dichiarazioni del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che a margine dell’incontro con Vladimir Putin ha affermato «l’ingresso dell’Ucraina della Nato non è in agenda». È evidente fin dall’inizio della crisi che una delle preoccupazioni principali del presidente russo fosse proprio l’allargamento dell’Alleanza Atlantica verso i propri confini nazionali. C’è un fatto dirimente, però, l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue e nella Nato è sancito dalla costituzione del Paese fin dalla sua indipendenza dopo l’89. Quindi, apparentemente, non si tratterebbe di una misura negoziabile. Daniel e Andriy, mentre aspettano il caffè a uno dei numerosi chioschi che si trovano lungo i viali del centro sono d’accordo a dire che, «certo, l’Ucraina è parte dell’Europa».

E LA NATO? Non sembrano troppo interessati. Di diverso avviso Oleh: «dobbiamo difenderci, non possiamo per sempre rimanere in balia della schizofrenia altrui; sono gli ucraini che dovrebbero decidere per l’Ucraina, non i russi. Se c’è scritto nella nostra costituzione che il nostro obiettivo è entrare nella Nato allora perché dovremmo cambiare idea?» E quindi le dichiarazioni di Scholz «sono solo per motivi economici, la Germania vuole il gas russo, lo sanno tutti, non gliene frega niente di noi, infatti non ci hanno neanche aiutato con le armi».

In generale, sembra che tra gli abitanti di Kiev e i giornalisti vi sia una sorta di curiosità reciproca: da un lato ci si chiede come sia possibile vedere tutta questa calma in giro, dall’altro se quanto si legge sui media esteri sia vero, se noi sappiamo qualcosa che loro non sanno, ma sulle questioni specifiche c’è poco interesse, quasi come se fossero notizie minori. Chiedo a Mohammed, uno dei molti studenti di architettura marocchini dell’università di Kharkiv che si trova nel Paese da quattro anni ed è a Kiev per qualche giorno di vacanza (!), come gli sembrano gli ucraini e risponde un po’ imbarazzato: «si sforzano di apparire calmi a tutti i costi, mi sembra un po’ esagerato in questo momento, però io gli credo quando dicono che non c’è pericolo, infatti sono rimasto qui, tutti i miei amici si sono precipitati a casa e mia madre mi ha chiamato dieci volte da stamattina, però, sinceramente, non vedo il motivo per fuggire, almeno non ancora».