Mezzanotte e un minuto. Cacerolada in Puerta del Sol, Madrid, in tante con pentole, cucchiai e coperchi a rumoreggiare l’inizio di questo 8 marzo. Sfoggiano magliette con la scritta «siamo le figlie delle streghe che non avete potuto bruciare», alcune sono così giovani che sembrano di più le nipoti. Poi, di prima mattina, blocchi stradali con bicipicchetti femministi e all’arrivo della polizia via a pedalare in mezzo al traffico.

Le convocazioni di presidi e manifestazioni sono state 1.200 in tutta la Spagna e anche se sembra difficile superare il successo dell’anno passato le strade si tingono di viola, il colore della rivolta femminista, come si dice in Spagna, senza buonismi né mezzi termini.

Per tutta la mattina la protesta è caratterizzata dalle studentesse. Cortei in partenza da ogni istituto superiore e dalle università si riversano nel centro. Coloratissime, sorridenti, ma super agguerrite scandiscono slogan «Madrid sarà la tomba del fascismo», «Madrid sarà la tomba del machismo» si correggono. Le stesse immagini si ripetono a Malaga, a Barcellona a Bilbao.

Già in tarda mattinata il sindacato Ccoo emette un comunicato che non lascia dubbi, «Lo sciopero femminista di 24 ore nelle scuole pubbliche e private del nostro paese, conta su un ampio seguito di lavoratori, così come di studenti», poi le cifre: nei settori come scuola e sanità pubblica, dove era stato convocato lo sciopero di 24 ore, l’adesione è stata superiore al 70%. L’Ugt (il sindacato vicino ai socialisti) parla di quasi 6 milioni di lavoratrici e lavoratori e afferma che i dati sono superiori a quelli registrati lo scorso anno.

Centinaia di lavoratrici della comunicazione, giornaliste della carta stampata, delle televisioni e delle agenzie di stampa, hanno abbandonato le redazioni e si sono riunite nel centro di Madrid per partecipare allo sciopero. Hanno letto un manifesto a favore di un giornalismo dignitoso e sociale, contro gli stereotipi sessisti. Le stesse concentrazioni si sono tenute in altre città come Siviglia e Valencia.

«Questo sciopero ha sempre avuto un carattere festivo. La lotta esiste, ma anche come festa, ridiamo e balliamo», riassume Elena, seduta nel picnic femminista organizzato di fronte al Museo Reina Sofía, tra turisti divertiti che scattano foto.

La sindaca di Madrid, Manuela Carmena, festeggia la capitale «viola e femminista» e avverte che questa «forza inarrestabile del femminismo non farà marcia indietro, perché è un movimento necessario».

Più di 1.000 motivi sono quelli che costringono le donne a tornare in piazza, perché oltre alla reale uguaglianza che rimane una chimera, la lotta femminista è stata messa in discussione dal neomachismo dell’estrema destra. La città è un fermento di camicette viola e di cartelloni di protesta. «Non siamo isteriche, siamo storiche», «Nessuna donna ha un orgasmo lavando il pavimento della cucina», per le vie del centro si aggira un «monstruo trifálico», un mostro non con tre teste, ma con tre falli, ognuno a rappresentare i leader dei tre partiti della destra spagnola, il Pp, Ciudadanos e Vox.

L’epilogo è in serata, quando – quasi – tutte possono mollare lavoro e figli, uscire da casa e occupare le strade. E davvero nessuna ha intenzione di darsi una calmata.